Morkull Ragast’s Rage: la recensione

Vesti i panni di Morkull, il cattivo della storia, consapevole di essere un personaggio in un videogioco, del giocatore che lo controlla e degli sviluppatori che lo hanno creato...!

Negli ultimi anni, il genere metroidvania si è affermato come uno dei pilastri dell’industria indie, trasformandosi da territorio di sperimentazione per piccoli studi a un filone quasi saturo, dove la creatività spesso si esprime più nell’estetica e nella narrazione che nelle reali innovazioni di gameplay. Quella che un tempo era una nicchia di mercato è diventata una certezza commerciale, con titoli che riprendono la formula classica dell’esplorazione non lineare e del backtracking, ma raramente ne stravolgono le basi. Capisaldi come Hollow Knight, Axiom Verge o Dead Cells hanno dimostrato quanto ancora il genere possa essere affinato e approfondito, ma la stragrande maggioranza delle nuove uscite si limita a perfezionare la formula senza innovare davvero. È in questo contesto che arriva Morkull: Ragast’s Rage, che cerca di differenziarsi attraverso un’interpretazione stilistica forte, rompendo la quarta parete e abbracciando un’estetica disegnata a mano, pur rimanendo fedele alle meccaniche tradizionali del genere.

Morkull: Ragast’s Rage si distingue per un presupposto narrativo sopra le righe, che combina toni cupi e grotteschi con un’ironia irriverente. Il protagonista, Morkull, è il Dio della Morte e dell’Oscurità, consapevole di essere un personaggio all’interno di un videogioco. Questa consapevolezza gli permette di rompere la quarta parete, dialogando direttamente con il giocatore in un continuo gioco metanarrativo. L’ambientazione si sviluppa nel Regno di Ragast, un mondo sotterraneo decadente, dominato da mostri, creature oscure e pericoli letali. Ogni scenario è permeato da un’estetica disegnata a mano, con un’attenzione particolare ai dettagli e all’animazione. Gli sviluppatori hanno puntato su un world building che mischia l’epicità dark fantasy con un’ironia beffarda, dando vita a una storia che non si prende mai troppo sul serio. Se da un lato la trama serve solo da pretesto per l’azione, dall’altro la caratterizzazione di Morkull è il vero punto di forza del gioco. Con il suo atteggiamento sarcastico e la costante rottura degli schemi, riesce a rendere l’esperienza più coinvolgente, trasformando il viaggio attraverso Ragast in un’avventura tanto pericolosa quanto esilarante. Purtroppo, però, dobbiamo ammettere come l’ironia risulti a tratti un po’ forzata, non riuscendo sempre nell’intento di irriverenza, sfociando involontariamente nell’ambito comico, suo malgrado.

Morkull: Ragast’s Rage segue la tradizione del metroidvania, proponendo una struttura di gioco basata su esplorazione, combattimenti e progressione a potenziamenti. Il level design è costruito attorno a mappe interconnesse, con aree inizialmente inaccessibili che diventano esplorabili una volta sbloccate nuove abilità, in pieno stile Metroid e Castlevania. Il sistema di combattimento è basato su attacchi corpo a corpo e combo, con un repertorio di mosse che si amplia con l’avanzare dell’avventura. Morkull può colpire, schivare e concatenare attacchi con una certa fluidità, anche se il feeling dei colpi non sempre restituisce un impatto soddisfacente. Un’aggiunta interessante è la possibilità di interagire con l’ambiente attraverso abilità specifiche, permettendo al protagonista di alterare lo scenario per superare ostacoli o risolvere enigmi ambientali. L’elemento distintivo è la rottura della quarta parete, che non si limita alla narrativa ma influenza anche la progressione: il protagonista è consapevole di essere in un videogioco e sfrutta questa consapevolezza per aggirare regole apparentemente fisse del mondo di gioco. Tuttavia, al di là di questo spunto creativo, le meccaniche di base rimangono piuttosto convenzionali, senza rivoluzionare il genere. La sensazione complessiva è che l’opera finisca per risultare fin troppo derivativa.

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