Negli ultimi dieci anni, il metroidvania si è imposto come uno dei generi cardine della scena indie, diventando un vero e proprio punto di riferimento per piccoli e medi sviluppatori alla ricerca di una struttura ludica solida ma flessibile. La fusione di esplorazione, backtracking e combattimenti precisi ha dato vita a esperienze straordinarie, spesso capaci di rivaleggiare con le produzioni tripla A in termini di impatto critico e commerciale. Titoli come Hollow Knight, Axiom Verge, Dead Cells e Ori and the Blind Forest hanno ridefinito il genere, ognuno con il proprio approccio stilistico e meccanico, trovando un pubblico vasto e appassionato. Il successo del genere ha portato a una continua evoluzione e sperimentazione, con giochi che ne hanno espanso i confini, come Blasphemous con il suo stile gotico e Ender Lilies con un’anima soulslike. In questo contesto ricco e competitivo arriva ora Ultros, un titolo che si distingue immediatamente per il suo stile visivo psichedelico e la sua filosofia di design unica, che andremo ad approfondire nei prossimi paragrafi.
Ultros si distingue immediatamente per il suo world building onirico e surreale, che immerge il giocatore in una narrazione densa di mistero e simbologia. Il gioco si svolge all’interno del Sarcofago, un enorme e enigmatico utero cosmico che ospita una creatura antica e potente: Ultros. Questo essere, al contempo prigioniero e minaccia, è il fulcro di una storia che esplora il ciclo infinito di morte e rinascita, ponendo domande profonde sulla natura della vita e sull’equilibrio dell’universo. Il protagonista, un guerriero senza nome, si risveglia all’interno del Sarcofago senza memoria del suo passato, destinato a rivivere lo stesso ciclo più e più volte, in una sorta di loop esistenziale. Nel suo viaggio incontra popolazioni aliene e entità enigmatiche, alcune ostili, altre pronte a guidarlo lungo il percorso. La narrazione si sviluppa in maniera frammentata e simbolica, più suggerita che esplicitata, con elementi visivi e ambientali che raccontano la storia tanto quanto i dialoghi. Questa struttura narrativa atipica rende Ultros un’esperienza da interpretare più che da seguire, con un mondo alieno che sembra pulsare di vita propria, fatto di creature, flora e architetture organiche che contribuiscono a un universo tanto affascinante quanto inquietante. Il risultato è affascinante, ma a tratti persino troppo ermetico, non riuscendo sempre a farsi fruire al pieno delle sue potenzialità.
A livello ludico, Ultros rientra nel filone metroidvania, ma con una gestione del ritmo e della progressione che lo differenzia dalla massa. Il gioco combina esplorazione, combattimenti frenetici e crescita del personaggio, con un’enfasi particolare sulla ciclicità del mondo di gioco, che obbliga il giocatore a ripensare costantemente il proprio approccio. Il combat system, pur ispirandosi ai classici del genere, introduce un’interpretazione più ritmata e strategica, con attacchi veloci, schivate e parate che premiano un approccio tecnico piuttosto che lo spam dei comandi. Tuttavia, il feedback degli impatti non è sempre soddisfacente e la varietà di nemici potrebbe risultare un po’ limitata rispetto ad altri esponenti del genere. La componente esplorativa è invece più originale: il mondo si trasforma progressivamente, rispondendo alle azioni del giocatore e rendendo il backtracking più dinamico e significativo. Una delle meccaniche più interessanti è legata alla vegetazione aliena, che può essere piantata e fatta crescere per creare nuove piattaforme o rivelare passaggi nascosti. Questo introduce un elemento gestionale che, sebbene non rivoluzionario, dona a Ultros una sua personalità distintiva. Il punto debole potrebbe essere la ripetitività strutturale: la ciclicità narrativa si riflette anche nelle meccaniche, con il rischio che la progressione perda mordente nelle fasi avanzate. Tuttavia, la direzione artistica e l’atmosfera ipnotica riescono a compensare questa sensazione, mantenendo l’esperienza affascinante e diversa dal solito, ma il senso di straniamento è sempre dietro l’angolo.