Quando all’interno delle vaste e complesse dinamiche dell’industria si incontrano due filoni di tendenza altrettanto forti da aver influenzato, ciascuno a proprio modo, l’intero mercato accade sempre qualcosa di particolare e, solitamente, estremamente piacevole per noi appassionati. Nel caso odierno possiamo godere dei frutti nati dall’incrocio tra due elementi cardine di un intero genere, quello dei giochi di ruolo di stampo giapponese. Sì, perché da un lato troviamo l’icona stessa di queste produzioni, nata ormai decenni addietro dalle sapienti menti di Enix (oggi assorbita nel conglomerato Square-Enix vista la fusione dei due colossi giapponesi) e dalla sempiterna mano del compianto maestro Akira Toriyama (noto da noi in occidente soprattutto per aver dato vita alla mitica serie di Dragon Ball), mentre dall’altro possiamo tornare ad apprezzare lo stile grafico inventato proprio in occasione della generazione Switch e denominato HD-2D, partorito dalla medesima casa di produzione proveniente dal Sol Levante per rilanciare crismi di interazione videoludica veicolandoli sotto la lente interpretativa di questa meravigliosa direzione artistica, presso la nuova generazione di appassionati videogiocatori. Da un lato quindi uno dei brand seminali dell’intero genere, capace di definire gli stilemi stessi di una certa tipologia di produzioni, tanto a livello narrativo quanto interattivo; dall’altro uno degli strumenti più efficaci di rilancio dello stesso genere in chiave moderna, in grado di riaccendere il fuoco della passione di tanti vecchi e nuovi fruitori nei confronti di produzioni classiche, capaci però di riproporsi anche sul palcoscenico del mercato contemporaneo. Dall’unione di questi elementi, sapientemente gestiti in pancia alla stessa Square-Enix, ecco arrivare sulle vostre Nintendo Switch il tanto atteso Dragon Quest III HD-2D Remake!
Dragon Quest nasce quindi già nel 1986 dalla mente di Yuji Horii ed è giustamente da molti indicato come il capostipite del genere JRPG, arrivando lungo la sua lunga carriera a definire i canoni del gioco di ruolo a turni. In Giappone è un vero e proprio fenomeno culturale al pari di Pokémon, grazie anche ai contributi di Akira Toriyama nei design dei personaggi e di Koichi Sugiyama per la colonna sonora, ormai vero e proprio sinonimo di avventura a sfondo fantasy. Il gioco d’esordio ha introdotto un sistema di combattimento a turni semplice ma coinvolgente, con un canovaccio capace di portare per la prima volta gli elementi narrativi dell’epica classica nella cultura pop giapponese. Con ogni nuovo capitolo, la serie ha saputo poi innovarsi mantenendosi però sempre fedele a sé stessa, aggiungendo di volta in volta nuove pagine alla sua leggenda: pensiamo ad esempio proprio alla versione originale di Dragon Quest III, con la sua abilità nel consolidare il sistema a classi, oppure a Dragon Quest V, fondamentale nell’introdurre la dinamica di cattura dei mostri. L’influenza di questo brand è tale che le sue uscite sono veri e propri eventi nazionali, al punto che negli anni ’80 si evitavano i lanci nei giorni feriali per non impattare sulla produttività del sistema lavorativo e scolastico dell’intero paese. Oggi, grazie all’ottimo sviluppo e al soddisfacente lancio di Dragon Quest XI, la serie continua a incarnare l’essenza del JRPG tradizionale anche sul palcoscenico del mercato contemporaneo, dimostrando che semplicità e tradizione possono ancora emozionare e ispirare un pubblico globale, quantomeno a giudicare dagli ottimi riscontri anche commerciali ottenuti (anche, ma forse soprattutto) alla versione (sia in 2D che in 3D) disponibile su Nintendo Switch.
L’altro lato della medaglia, come anticipato in fase introduttiva, è invece rappresentato dalla scelta della casa giapponese di portare avanti il franchise, nell’attesa del dodicesimo e inedito episodio, con la riproposizione di un classico tra i più amati, rappresentato a schermo attraverso gli stilemi tipici della direzione artistica da loro stessi inventata e denominata HD-2D. Un progetto tanto stilistico quanto di marketing lanciato in concomitanza con le prime fasi di Nintendo Switch attraverso il bellissimo progetto conosciuto come Octopath Traveler e diventato, in poco tempo, un elemento cardine della produzione Square-Enix, sia nel connubio con Nintendo che in senso più ampio, soprattutto andando ad analizzare la quantità di operazioni rilasciati in un lasso di tempo piuttosto breve e del loro relativo ritorno economico. Se, infatti, il capostipite di questa particolare forma artistica di rappresentazione visiva è rimasto per anni uno dei baluardi della libreria software esclusiva della console ibrida di Kyoto (superando i 3 milioni di copie venduti nel mondo), a lui sono poi seguiti l’ottimo Triangle Strategy (con il merito di aver aperto le porte al rilancio del genere strategico a turni), l’inaspettato Live A Live, il seguito di Octopath stesso per poi optare per un leggero, ma significativo, cambio di strategia produttiva. Nel caso odierno, infatti, parliamo di declinare questa particolare chiave di rappresentazione visiva a uno dei pilastri dell’azienda, virando sullo strumento inteso come elemento chiave per rinverdire i fasti di un passato lontano, ma ancora ricco di potenziale, soprattutto grazie alla sua capacità di parlare contemporaneamente la lingua della nostalgia per i giocatori più brizzolati (come il sottoscritto!) e quella della modernità grafica, grazie a tutte le peculiarità ultra attuali dell’Unreal Engine.