Giusto in tempo per Halloween, da pochi giorni è stato rilasciato sul mercato A Quiet Place: The Road Ahead: sviluppato nientemeno che da un team con base in Italia sulla famosa licenza cinematografica in grado di trascinare spettatori prima e fruitori interattivi oggi all’interno di un universo narrativo ricco, sfaccettato e complesso, da sempre caratterizzato soprattutto dalla grande cura del dettaglio, nonché dalla resa di atmosfere tensive lontane dall’adrenalinica frenesia di fin troppe pellicole…o videogiochi. Abbiamo avuto la fortuna di poter parlare dell’ambizioso progetto con Diego Ricchiuti, figura di spicco dell’industria dell’intrattenimento digitale interattivo made in Italy.
In questa intervista esclusiva andremo ad approfondire diversi aspetti legati al prodotto, ma anche al panorama nostrano, nello specifico di un’avventura ricca di spunti come quella per altro recensita da Switchitalia, nella sua versione Xbox Series S: non perdetevi il nostro parere QUI!
Question (Q): Buongiorno Diego, innanzitutto ci piacerebbe sapere qualcosa di più su di te, per capire il tuo ruolo nella squadra di sviluppo di Stormind Games, ma anche il tuo percorso di formazione e quello professionale, per ispirare molti nostri lettori.
Answer (A): Ciao Simone, grazie per l’opportunità di questa intervista. Dunque, io lavoro nell’ambito dei videogiochi da 15 anni, dividendomi oggi tra i ruoli di consulente, direttore creativo e direttore del design di svariate produzioni. Tutto è iniziato con la disastrosa esperienza di sviluppo indie insieme a un paio di amici-colleghi, pubblicando un titolo fallimentare su STEAM di cui non svelerò alcun dettaglio (ahahah!), ma che risultò fondamentale per capire quanto volessi fare proprio quel mestiere. Anche se allora non ero capace di farlo! Decisi quindi di trasferirmi in Inghilterra per studiare Game Design presso la University of Suffolk, dove mi sono laureto come Studente dell’Anno, trovando per mia fortuna subito lavoro in Ubisoft, viaggiando tra i tre studi di Milano, Paris e Newcastle, collaborando allo sviluppo di Ghost Recon: Wildlands. Quello è stato un punto di partenza, per poi iniziare a spostarmi molto tra paesi e studi di sviluppo, al fine di vedere, scoprire e imparare diversi modi di lavorare: spinto soprattutto dall’enorme curiosità legata al mio spassionato amore per il game design. Perché in fondo nasce tutto da lì, dal mio desiderio di trasportare le scienze comportamentali, la sociologia e l’antropologia all’interno del mondo dei videogiochi. Poi, dopo aver collaborato in Polonia con Techland sullo sviluppo di Dying Light 2, sono rientrato in Italia. Qui, tra le altre cose, ho iniziato a cooperare con AIV (Accademia Italiana Videogame*), fondando e gestendo (tuttora) il corso di Game Design. Accanto però alla vita accademica, ho anche iniziato a collaborare in pianta stabile con Caracal Games (NDR: che i nostri lettori conoscono già bene!), a pubblicare libri sul tema, uno edito con altri colleghi di AIV (I Mestieri del Videogioco, Dino Audino Editore) e uno (Game Design Tools, CRC Press), edito anche a livello internazionale. Questa è stata la prima volta che un autore italiano ha trovato modo di esporsi su una vetrina internazionale, mettendo in evidenza le diverse capacità che in realtà esistono anche nel Bel Paese, ma che noi per primi troppo spesso non pubblicizziamo adeguatamente fuori dai nostri confini. Per altro la mia avventura editoriale non è ancora finita, visto che a gennaio 2025 uscirà il mio secondo libro in lingua inglese, questa volta scritto con John Elway, per cui drizzate le orecchie! Per quanto riguarda però la stretta attualità, oltre che insegnare in AIV e lavorare come Design Director in Caracal Games, collaboro anche con Focus Home Interactive e Goblins Publisher (scovando progetti interessanti da pubblicare sotto le loro etichette). Nel caso specifico di Stormind Games, ho portato la mia esperienza e il mio contributo in ambito di game design per aiutarli a gestire un progetto dell’importanza di A Quiet Place: The Road Ahead, IP internazionale holliwoodiana che ha permesso a noi, e all’industria tutta, di dimostrare che gli italiani “lo sanno fare”, se non meglio, quantomeno bene come tanti altri. Nel dettaglio comunque ho svolto proprio il ruolo di direttore creativo, intento anche al rispetto e alla coerenza di ogni aspetto del gioco, rispetto agli stilemi dell’IP originaria.
Q: Cosa ci sapresti dire invece di Stormind Games? Realtà tutta nostrana che meriterebbe maggior riconoscimento anche da parte degli appassionati, per cui sfrutta pure le luci della ribalta di Switchitalia per farci sapere caratteristiche e aneddoti legati al vostre team!
A: Stormind è una realtà nostrana che meriterebbe più riconoscimento di quello che ha, in effetti: fare impresa, per di più di videogiochi, qui in Italia è davvero faticoso e la loro capacità di imporsi come realtà concreta è ammirevole. Da noi ci sono investimenti davvero irrisori, ad oggi, rispetto a Francia, Inghilterra o persino Polonia, per cui lavorare in un ambito tanto creativo, quanto di business, non è affatto facile. Troppo spesso da noi si pensa che il videogioco sia SOLO arte, mentre è assolutamente un prodotto da intendersi anche come acquisto. E lo dico dall’alto dei miei tatuaggi a tema o del mio amore spropositato proprio per l’aspetto creativo, ma quello commerciale è assolutamente imprescindibile, soprattutto se entriamo nell’ottica (ovvia ma da noi sottovalutata) di intendere il videogame e la sua industria come un lavoro vero e proprio. Che significa salari, significa rientro economico, significa budget, significa mantenimento di team di lavoro, che devono essere messi nelle condizioni di vivere in maniera dignitosa, grazie allo sforzo profuso nella produzione di questi prodotti. E purtroppo da noi questo ancora non avviene, in termini di consapevolezza da parte delle aziende, né di contributi da parte dello Stato. In Italia fare imprenditoria è difficile e avere la responsabilità economica di un gruppo di persone è ancor più difficile. Anche perché persino da parte degli stessi attori del settore c’è un certo campanilismo anche finanziario, a partire dall’incapacità di presentarsi adeguatamente all’estero rinunciando, così, anche a fatturare vendendo all’estero. Ed è proprio sotto questo profilo (oltre che sotto quello delle tante e diverse professionalità che lo caratterizzano) che Stormind Games è un’eccellenza, in Italia. Loro collaborano sempre con l’estero; io vado a tutti gli eventi internazionali, cercando di partecipare anche al fine di portarli qui nel Bel Paese. A questo proposito, sono appena stato come relatore al famoso DICE, che per la prima volta nella storia, quest’anno si è svolto proprio in Italia, sul lago di Como. Ovviamente, il team catanese era presente e ha partecipato, mentre molti altri sviluppatori nostrani hanno disertato, e questo segna un elemento distintivo piuttosto importante, per settare certi standard di professionalità. Figuriamoci quando di parla di GDC, di Paris Gamesweek e altri momenti business che sarebbero vetrine importanti: pur capendo come certe partecipazioni abbiano un costo (e qui torniamo anche alla nota dolente dell’assenza pressoché totale di sussidi e contributi a livello organico da parte del governo), è innegabile che abbiano poi anche un ritorno, in termini di partecipazione, visibilità ed esperienza. Stormind riesce nel doppio intento: sviluppa prodotti, a licenza o inediti (come Batora o Remothered) gestendo la parte creativa del processo, ma collabora anche con realtà internazionali offrendo supporto, tecnico o di varia natura, per aumentare il networking, crescere un passo alla volta e generare i presupposti per un ritorno economico importante. Senza dubbio esistono anche i casi particolari, eclatanti e rumorosi come Vampire Survivors (realizzato da uno studente di AIV dove insegno – e dove insegni anche tu, Nuas82!), ma non tutti possono avere la bravura e la fortuna di creare quel prodotto perfetto per quel momento di release senza un’ampia struttura professionale alle spalle. Una struttura che possa e anzi debba garantire la possibilità di iniziative magari anche di collaborazione, inizialmente non ritenute importanti, ma che in realtà consentono di farsi le ossa, di fare networking e di ampliare poi le chance di business future. La stessa Caracal Games ha fatto lo stesso: lavorare su licenze di altri, collaborando con studi maggiori per poi portare avanti le proprie IP, grazie al guadagno di mercato, rispetto e, perché no? Anche budget coi quali finanziare poi i propri progetti. In Stormind il team è abbastanza ampio, coprendo svariati ambiti (design, animazione, grafica, sound design, produzione, business…), con all’interno diverse figure di vario livello (junior, mid e senior, lead, director) dove poi in base al numero e alla complessità dei progetti attivi la struttura è sufficientemente flessibile da poter contare su un network di collaboratori esterni, come nel mio caso specifico. A me piace molto lavorare e collaborare con loro, essendo un team vario, estremamente competente, con voglia di fare, tanto da arrivare a stringere anche rapporti di amicizia con alcuni dei loro impiegati. Mi piacerebbe però che spingessero ancor di più sull’autopromozione, per farsi conoscere ancora di più, viste le ottime skill presenti nel gruppo.