Darkest Dungeon II: la recensione

Preparati a un viaggio roguelike all’insegna della dannazione: lotta con i tuoi sodali a bordo della Diligenza per respingere l’apocalisse tra scenari corrotti e decadenti, ma fai attenzione...la follia albergherà presto dentro di te!

Darkest Dungeon è uno di quei sempre meno rari (per fortuna!) casi di grande ma inaspettato successo del panorama indipendente, capace di costruirsi una nomea più che discreta nonché un vero e proprio stuolo di grandissimi appassionati, tanto da gettare le basi per una continua evoluzione del brand sul presupposto del successo già ottenuto. Stiamo parlando di una produzione con forti componenti roguelike uscita prima del lancio di Switch ma arrivata poi anche sullo store digitale della console ibrida della casa di Kyoto, trovando anche qui un’ottima cassa di risonanza grazie ai tanti stilemi caratteristici di Red Hook Studios. Nel primo capitolo, il fruitore ereditava una antica tenuta da parte di un suo antenato appena defunto, scoprendo ben presto come fosse infestata da un antico male, portato alla luce proprio dalle pratiche proibite di magia occulta praticate dal progenitore. Per riuscire a portare avanti questa sorta di crociata, sarà indispensabile liberare la località da tutta una serie di mostri e creature maligne, servendosi di una schiera di eroi che arrivano in paese in cerca di un’occupazione, con lo scopo di arrivare al sotterraneo più profondo e pericoloso di tutta la proprietà: il Darkest Dungeon appunto. I temi oscuri e macabri, se non addirittura deliranti e sfacciatamente horror (ispirati alle opere letterarie di Lovecraft, per il senso di antico e putrefatto terrore alieno che permea tutta l’opera) ha saputo presto catturare l’interesse di molti appassionati, assieme a un ritmo di gioco serrato e punitivo, ma sempre onesto nelle conseguenze di ogni scelta strategica operata all’interno delle dinamiche belliche degli scontri a turni, elevando la percezione del titolo a uno status di aurea non indifferente, anche grazie alla voce narrante esterna, appartenente al defunto antenato del protagonista, che richiama dal passato sinistri episodi della propria vita, descrivendo con enfasi certe azioni dei protagonisti e, in generale, consigliando il giocatore durante l’azione.

Nel seguito, questa volta reso disponibile anche per Nintendo Switch quasi da subito (complice l’enorme successo riscosso dall’opera antecedente sull’eShop della console ibrida della casa di Kyoto) molti aspetti restano invariati e fedeli alle radici originarie dettate dal primo capitolo, ma con grande coraggio e consapevolezza molti sono gli elementi che in realtà cambiano, spesso e volentieri lungo un percorso evolutivo, caratterizzato da un certo grado di differenziazione in senso positivo rispetto a prima. Innanzitutto parliamo del mondo di gioco: pur mantenendosi ovviamene coerente dal punto di vista stilistico, nel seguito usciamo dal concetto di dungeon continui ambientati all’interno della stessa città-labirinto, per spostare il giocatore nei panni di un manipolo di combattenti che vestono i panni di viaggiatori. Esuli, migranti, missionari o martiri lo scoprirete vivendo l’arco narrativo al centro dell’opera (vi anticipiamo comunque che i toni restano sempre sommessi, senza mai ergere i protagonisti al ruolo di eroi, elemento assolutamente non coerente con la disperazione che permea tutto il prodotto), ma una cosa è certa: grazie alle loro disilluse disavventure potrete esplorare diverse regioni di questa landa desolata, scoprendone particolari e dettagli tanto inquietati quanto affascinanti. Tutti gli orrori provengono da una montagna che incombe minacciosamente in lontananza, e il vostro obiettivo sarà quello di mettere assieme una squadra di quattro avventurieri e usare le loro abilità di combattimento e sopravvivenza per trasportare la Fiamma chiamata Speranza a bordo di una diligenza verso di essa, attraversando appunto un diversificato insieme di aree putrefatte, ciascuna delle quali riesce a mostrare nemici orribilmente dettagliati ma anche incredibilmente diversi tra loro.

I maggiori cambiamenti interessano però proprio la struttura di gioco, andando senza dubbio anche a suscitare qualche perplessità negli amanti più sfegatati del primo, indimenticabile episodio. Il loop infatti, pur mantenendosi a cavallo del crinale tra roguelite e strategico a turni, varia non poco ritmo e focus dei vari labirinti: selezionati i quattro personaggi tra alcune classi prestabilite, partirete per questo viaggio in una delle lande designate, per poi ritrovarvi anche davanti alla necessità di selezione tra diversi bivi (di gioco, ma a tratti anche dotati di conseguenze narrative); questi snodi sono momenti di incontro coi nemici, ma anche negozi dove rimpolpare il vostro equipaggiamento o ancora ospedali da campo dove far riposare il party. Gli spazi che invece separano i vari punti sopra descritti vi mettono al controllo della diligenza, avanzando o indietreggiando nel tentativo di manovrarla per evitare ostacoli o, al contrario, recuperare oggetti collezionabili in grado di fornire utili ricompense. Questi spostamenti interattivi durano soltanto pochi minuti, ma da un lato garantiscono ai vostri personaggi di recuperare energia, dall’altro consentono loro anche la possibilità di stringere legami più stretti e forti, con conseguenze positive anche sul campo di battaglia, risultando pertanto intervalli preziosi, assolutamente da non sprecare in fastidiosi incidenti che possono persino portare a scontri imprevisti ed improvvisi. Scontri che restano ovviamente ancora una volta il fulcro dell’esperienza di gioco, tra la tensione della strategia a turni e quella della morte imminente: in ogni battaglia vi troverete coi vostri compagni ad affrontare fino a quattro nemici, cercando di sfruttare al meglio le caratteristiche dei vostri avatar identificando al contempo le debolezze degli avversari. Importantissimo risulterà il posizionamento dei personaggi che, a seconda delle specifiche abilità, potranno essere facilmente esposti ad attacchi mortali o, al contrario, operare in maniera decisiva proprio sulla base di questo criterio. La cosa più importante da gestire, però, è probabilmente il livello di stress, che potremmo definire una sorta di sanità mentale, che andrà disgregandosi progressivamente nell’affrontare le mostruosità che si pareranno dinnanzi a voi, sul vostro cammino. Quando questa raggiungerà il massimo, infatti, l’unico risultato sarà un tracollo totale del personaggio, andando a causare per altro tutta una serie di status negativi in grado di infliggere danno anche alla salute fisica, terminando nella morte del personaggio stesso. Considerando come ogni vittoria sarà in grado di garantirvi delle candele, da spendere tra una run e l’altra per ottenere potenziamenti alle statistiche o oggetti più potenti con cui affrontare la disavventura successiva, dovrete compiere a volte delle ardue scelte su cosa (o chi) sacrificare in mondo da riuscire a trascinarvi fino al termine vittorioso di uno scontro, pur di preservare un minimo di progressione: altrimenti il viaggio nell’incubo di Darkest Dungeon II sarà semplicemente impossibile.

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