Nel corso degli ultimi dieci anni il mercato dei videogame ha vissuto lungo due direttive strutturali contrarie, ma speculari e, senza dubbio, correlate tra loro. Da un lato, abbiamo assistito all’esplosione del panorama indipendente, capace di sfruttare a proprio vantaggio le nuove possibilità di abbattimento dei costi di sviluppo, pubblicazione, promozione e distribuzione offerti dalla pletora di middleware e tool di programmazione, dalla scalabilità delle performance di diversi device hardware, dalla diffusione dei social media e, in ultimo, dall’accessibilità alle dinamiche di acquisto sempre più comuni in ambito di store digitali, da parte anche di una fetta davvero ampia del pubblico potenziale. Dall’altro, per far fronte a un ambito competitivo sempre più agguerrito e per ottenere il massimo dalle potenzialità di espressione dei nuovi processori in ambito di puro calcolo computazionale, con conseguente picco dei costi di sviluppo, molte grandi case hanno optato per un atteggiamento di espansione e acquisizione di risorse, effettuando un approccio ostracista nei confronti delle realtà di lavoro più piccole e dotate di meno capitali, ottimizzando gli sforzi in una numerica inferiore di progetti, nei quali riversare però ampi budget, cercando di ottimizzarne i ricavi. Il risultato è che spesso e volentieri le realtà minori si sono rivelate quelle più protese verso innovazione e sperimentazione, laddove i grandi progetti hanno finito per ricalcare solchi già tracciati, in grado di rassicurare in merito alla capacità di generare profitti, rientrando degli investimenti. Fa quindi sempre piacere, se non scalpore, quando una di queste realtà affermate decide di tentare il lancio di una nuova proprietà intellettuale, per di più uscendo dal seminato in termini sia stilistici che contenutistici, con strutture ludiche diverse dall’usuale per provare ad attirare l’attenzione di un pubblico magari numericamente inferiore, ma diverso da quello normalmente interessato al proprio portafoglio prodotti, o anche solo per dare libero sfogo alla creatività di alcuni personaggi di spicco del proprio pool di risorse interne. Ed è così che accogliamo con curiosità, ma anche una certa benevolenza, questa esperienza sperimentale, fresca e inaspettata da parte di Square-Enix: ecco a voi, infatti, Paranormasight: The Seven Mysteries of Honjo!
Il gioco è profondamente legato all’ambito culturale delle superstizioni e delle maledizioni della cultura tradizionale giapponese: ambientato durante l’era Shōwa (1926-89) nel quartiere di Sumida, a Tokyo, è una raccolta di agghiaccianti storie di fantasmi i cui protagonisti possiedono il potere di maledire altri esseri umani, attraverso particolari pietre fatate che nel corso dei secoli e attraverso la sofferenza e il disagio di alcuni eventi scatenanti, hanno saputo raccogliere dentro di sé l’essenza di una delle tante disavventure che hanno dato adito proprio a tali nefaste leggende. Tutto, nel titolo, trasuda Giappone antico, anche perché le strade, le mappe, i palazzi e i quartieri nei quali vi dovrete muovere (alternandovi tra fasi diurne e altre notturne, senza dubbio più inquietanti) sono state ricreate per filo e per segno, com’erano in quei tempi ormai andati: grazie infatti al supporto e alla cooperazione del dipartimento del turismo della città di Sumida, del museo locale, dell’ufficio del turismo e della comunità, i luoghi reali sono stati fotografati con una telecamera a 360°, capace di aiutare gli sviluppatori nella riproposizione fedele di quanto proposto a schermo. Vi ritroverete quindi a percorrere spaventosi bassifondi di Honjo immergendovi completamente in alcune aree del gioco grazie a delle immagini panoramiche del quartiere di Sumida, secondo una direzione tanto artistica quanto tecnica davvero in grado di aumentare il senso di immersione ed immedesimazione, vestendo di volta in volta i panni dei tanti protagonisti dell’intricato e complesso racconto. Sì perché la struttura del gioco prevede una continua alternanza tra diversi elementi: durante il giorno ci si sposterà nelle zone più misteriose della città, risolvendo rompicapi e troverando indizi che vi aiuteranno a chiarire i misteri dietro queste sette maledizioni mortali. Di notte, dovrete invece cacciare o fuggire da altri maledetti che vi daranno la caccia, arrivando a padroneggiare i vostri poteri e allo stesso tempo cercando di non finire tra le trappole degli altri possessori di pietre magiche. D’altro canto, anche la narrazione continuerà a subire diversi passaggi di punto di vista: questa raccolta di agghiaccianti storie di fantasmi ruota attorno a vari protagonisti e voi dovrete indagare sui misteri di Honjo impersonandoli tutti, alternandovi tra i vari personaggi maledetti, lungo uno schema non lineare e spesso dipendente dalle vostre scelte, dai vostri fallimenti e, ogni tanto, dai decessi che vostro malgrado colpiranno voi e il vostro avatar di turno.
La struttura ludica principale è quella legata alla necessità di scavare nel lugubre passato che ha dato vista ai sette misteri di Honjo, attraverso lo stile unico di una visual novel in 2D dove non si può né deve parlare soltanto di finali multipli, quanto di un vero e proprio canovaccio multiplo, sviluppato secondo il tanto moderno concetto di interconnessione, come se fossimo all’interno di una rete (come la “ragnatela” di internet, tanto per capirci). Più che a un Ace Attorney, infatti, forse è meglio pensare per capire a fondo il titolo a un AI: Somnium Files che incontra Doki Doki: Literature Club: scarsa interazione ambientale, molta lettura, necessaria navigazione tra i menu per optare tra le diverse scelte di dialogo a nostra disposizione in modo non tanto o non solo/necessariamente di poter progredire, ma di poterlo fare lungo un percorso, piuttosto che attivando una diversa diramazione del canovaccio narrativo, che raramente verrà interrotto in maniera definitiva, ma che si troverà a seguire un diverso andamento a seconda delle vostre scelte. Il tutto, condito da continui rimandi extra-diegetici, con tanto di perpetua rottura della quarta parete, visto il dialogo diretto tra il Narratore e voi giocatori: questo particolare personaggio, infatti, che si trova almeno parzialmente fuori dal tempo e dal luogo della narrazione, sarà un tramite diretto tra la volontà degli sviluppatori e voi stessi, nei panni di giocatori, piuttosto che dei vari protagonisti al centro delle bizzarre e maledette vicissitudini di Honjo. Difficile entrare in un maggior grado di dettaglio senza rovinarvi le continue e strutturali sorprese che il gioco saprà riservarvi a ogni piè sospinto, ma sappiate almeno questo: la cornice narrativa è fondante e ben studiata, con ben più di 7 storie di folklore, tutte intrecciate tra loro a svelare un mistero ancor più grande e capace di interconnetterle tutte, indipendentemente dal punto di vista attraverso il quale verranno sviscerate, lungo una fitta e intricata rete di legami che ha il suo più grande pregio nel dinamismo stesso della narrazione, ma al contempo nella sua robusta solidità. Non deve essere stato facile per gli sceneggiatori immaginarsi un design narrativo così ricco di dettagli e complesso in termini di interconnessioni, capace di superare lo stress-test di così tante possibili opzioni di attivazione degli snodi di relazione, derivanti tanto dalle scelte quanto dai potenziali errori di ogni possibile fruitore.