Ci sono prodotti nell’industria videoludica che con il passare degli anni si ammantano di un’aurea particolare: non è tanto il vanto del capolavoro a circondare la loro percezione, quanto piuttosto l’alone di mistero che delinea in maniera precisa ma al tempo stesso sfocata i contorni della leggenda. Titoli che i più non hanno potuto (o saputo o voluto) provare, vuoi per ragioni anagrafiche, vuoi per limiti di accessibilità degli hardware di riferimento, vuoi per difficoltà di localizzazione e distribuzione internazionale: tutti problemi con cui molti di noi appassionati di vecchia data sono cresciuti, ai tempi dei negozietti di quartiere in cui il digitale era forse soltanto il tema fantascientifico di alcuni di quegli stessi software tanto agognati, appoggiando il naso sulle vetrine di quei negozi, o affondandolo tra le pagine delle riviste di settore. Ed ecco allora che se ne inizia a scrivere nei forum, sui social, si postano video e immagini esaltandone caratteristiche, stile, direzione artistica, fantasticando di valori ormai perduti, di emozioni indescrivibili, alimentando il desiderio di poterlo finalmente provare, quel tesoro nascosto, dando vita a voci di corridoio capaci di rincorrersi anche per anni, ingigantendo (non necessariamente oltremisura) lo spessore dell’opera. Con il pregio di mantenere e preservare la memoria di grandi produzioni del passato anche presso nuove platee, ma anche di caricare di aspettative troppo elevate titoli che poi, quasi magicamente, prenderanno davvero vita, ancora una volta, ad anni di distanza dalle loro “prime volte”. Come nel caso di Shenmue, con una duologia quasi mistica, riportata mestamente coi piedi per terra da un terzo capitolo non all’altezza degli standard odierni proiettati dalle giovani menti di una nuova generazione di consumatori. Ma, forse, non è questo il caso di Tactics Ogre Reborn: scopriamo perchè, addentrandoci nella nostra recensione!
Il gioco in questione è stato originariamente sviluppato nel lontano 1995 dall’ormai defunta Quest Corporation per Super Famicom (da noi conosciuto come SNES), da un team di sviluppatori che si sarebbero da lì a poco affermati come veri e propri grandi firme del panorama videoludico nipponico e non solo: uno su tutti Yasumi Matsuno (che un paio di anni dopo lasciò la compagnia per approdare in Square – una delle due metà dell’odierna Square-Enix – assieme a un gruppo di veterani che lo seguì per realizzare nientemeno che Final Fantasy Tactics per PlayStation), accompagnato per l’occasione qui analizzata anche da Akihiko Yoshida come designer dei personaggi (firma anche di opere come Bravely Default), dal direttore artistico Hiroshi Minagawa e dal compositore Hitoshi Sakimoto (conosciuti per Final Fantasy XII e Vagrant Story). Un’opera che già a quei tempi ha contribuito in maniera significativa a gettare le fondamenta di un certo tipo di produzioni: quelle strategiche a turni di stampo giapponese, con un’estetica fantasy a tratti medioevale o europeggiante ma reinterpretata attraverso la lente orientale, tanto sotto il profilo narrativo quanto dal punto di vista puramente artistico. Il carico di fervore creativo alle spalle del progetto è quindi enorme, così come l’esperienza dei partecipanti in termini di dinamiche e strutture ludiche, tanto da poter essere considerati pietre miliari del settore, cioè tra quelle figure che, con le loro produzioni, hanno contribuito a codificare generi e strutture dell’industria. Difficile lanciarsi in produzioni strategiche a turni giapponesi senza confrontarsi con queste icone del passato.
Per quanto concerne i pilastri principali del canovaccio, troviamo quelli che oggi a tanti anni di distanza sono ormai diventati veri e propri archetipi del genere, evidenziando tanto l’importanza del progetto originale, quanto un difetto intrinseco ed inevitabile proprio di un remaster di questo tipo: il senso di dejà vu sarà inevitabile, ma potrà essere paradossalmente quasi più un pregio che un difetto, nel momento in cui si entrerà nell’ottica di ammirare uno dei giochi da cui tutto è cominciato. Dopo la morte di un tiranno, le isole di Valeria si ritrovano nel mezzo di un brutale conflitto tra tre fazioni alla ricerca di potere. In Tactics Ogre: Reborn verrà messa in scena la storia di un giovane finito al centro della guerra dopo la morte del padre. Nonostante i suoi desideri anelino a valori universali come libertà e giustizia, presto sarete costretti ad ammettere come anche il più nobile degli obiettivi richieda di prendere delle decisioni molto difficili da affrontare, con conseguenze spesso spiacevoli. Niente di rivoluzionario, se visto con gli occhi di oggi, ma un plot comunque ben costruito e, soprattutto, scritto con attenzione per il dettaglio e la chiara volontà di presentare a schermo personaggi credibili e ben sfaccettati: se, infatti, il macro arco narrativo difficilmente saprà offrire a un fruitore odierno elementi di sorpresa o colpi di scena, va comunque ammessa e riconosciuta l’ottima sceneggiatura, capace di prendere corpo in maniera convincente attraverso i dialoghi tra personalità ben definite e non banali. Un insegnamento che spesso, nelle produzioni più moderne, è sottovalutato, senza la capacità o l’interesse di affrontare in maniera adeguata tanto il concetto di world building quanto quello di narrative design.