Deadcraft: la recensione

Le soddisfazioni date dal gestire il proprio orto sono impagabili in Deadcraft, survival action nel quale potremo coltivare zombie!

In questo caldissimo inizio d’estate prova a portarci una ventata d’aria fresca Deadcraft, il nuovo action RPG a tema zombie di Marvelous’ First Studio. Il team nipponico ha già riscontrato in passato un certo successo con gli sviluppi dello shooter Daemon X Machina e dell’action RPG God Eater 3, nonché con la pubblicazione della trilogia di Grasshopper No More Heroes avente come protagonista l’otaku fuori di testa Travis Touchdown. È proprio a quest’ultimo titolo che Deadcraft sembra pagare qualche credito quantomeno in termini stilistici e di personalità, dando al giocatore un certo senso di deja vù soprattutto nel corso delle finisher move ultra splatter con le quali metteremo fine allo zoppicante errare dei non morti. Sappiamo bene quanto lo zombie nell’immaginario videoludico, ma anche cinematografico e letterario, sia da sempre un tema forte e spesso inflazionato, con la maggior parte delle produzioni che raramente spiccano da un canovaccio narrativo piuttosto classico. Non si distacca da questo solco nemmeno Deadcraft che ci propone la più classica delle storie zombie, con lo ZiV virus (veicolato sulla terra da una pioggia di meteoriti) in grado di riportare in vita i morti sotto forma di marcescenti esseri famelici di carne umana. La popolazione mondiale, come se non bastasse un mondo ridotto in cenere dai meteoriti, in breve tempo si ritrova al limite dell’estinzione a causa del virus, salvo alcune sparute sacche di resistenza ed un eroe (Reid) che caso vuole si ritrova ad essere l’unico in qualche modo (parzialmente) immune al virus.   

L’ambientazione naturalmente è quella post apocalittica di un mondo ridotto in povertà e miseria dal virus, con la popolazione rimasta in vita che si deve giocoforza arrangiare con quello che si riesce a recuperare. Non dovremo dunque fare troppo gli schizzinosi se Reid dovrà ricorrere ad una gustosa grigliata di ratto per mangiare e ad acqua putrida per dissetarsi. La palette di colori usata, spesso acida e molto carica, nonché alcune ambientazioni alla Mad Max possono ricordare ad alcuni lo scanzonato Borderlands. La vita di un mezzo zombie come Reid non è priva di rischi in questo mondo senza speranza; catturato dal malvagio Nebron per essere “studiato”, il nostro protagonista riesce presto a farsi strada verso la libertà grazie ai suoi poteri, ma i conti non saranno pareggiati finché, attraverso orde di non morti, non avremo ottenuto la dovuta vendetta come nel più classico dei revenge movie.

Come anticipato Reid ottiene dei poteri davvero speciali dal suo lato zombie, poteri dei quali non deve assolutamente abusare rischiando altrimenti di perdere del tutto la sua umanità e diventare infine un non morto a tutti gli effetti. Il lato zombie di Reid offre una serie di potenti vantaggi in combattimento, derivanti dalla possibilità di modificare le parti infette del proprio corpo a comando. Avremo ad esempio la possibilità di creare uno scudo impenetrabile o sviluppare in maniera abnorme un braccio putrefatto con il quale schiacciare come moscerini i non morti che intralceranno il nostro percorso di distruzione. L’equilibrio tra umano e zombie è davvero labile in Reid ed il giocatore è chiamato a mantenere quel poco di umanità che gli è rimasta gestendo al meglio i poteri speciali, dato che ogni nemico divorato lo spinge sempre più vicino al suo lato non morto.

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