Nel solco dei classici punta e clicca dovremo esplorare gli ambienti alla ricerca di indizi, cercando di far luce sul mistero che circonda il passato dell’esploratore e degli uccelli bianchi dell’Amerzone. Passando il puntatore sui punti interattivi avremo quindi la possibilità di visualizzare, leggere, muovere, spostare oggetti, aprire porte ed inserire codici. Per i più pigri, tramite un tasto, è possibile visualizzare immediatamente quali e quanti sono gli elementi interattivi nell’ambiente di gioco. Mentre con l’analogico potremo muovere la visuale alla ricerca di qualcosa che colpisca l’occhio e il nostro ingegno. Non è invece possibile muoversi liberamente nell’ambientazione, ci saranno bensì dei binari che il gioco ci segnalerà come percorribili, e che, una volta cliccati, ci consentirà di spostarci in quella direzione, con una modalità che oggi ci ricorda un po’ Street View. La cura riposta nel comparto visivo è evidente sin dai primi istanti. Le ambientazioni, rigenerate dall’Unreal Engine, riescono a mantenere quell’atmosfera rarefatta e nostalgica che aveva reso celebre l’originale, ma con una ricchezza di dettagli capace di valorizzare ogni scorcio. Non si tratta di un semplice rifacimento estetico, bensì di una vera e propria reinterpretazione visiva: la luce filtra tra le fronde degli alberi tropicali con una delicatezza quasi tangibile, le acque paludose riflettono il cielo plumbeo creando suggestioni pittoriche, le rovine delle costruzioni coloniali parlano di un passato glorioso e tragico senza bisogno di parole. Anche i personaggi con cui si interagisce, sebbene numericamente limitati, sono resi con una profondità grafica ed espressiva che aggiunge valore alle brevi ma intense conversazioni. Il comparto sonoro, impreziosito dalle musiche di Inon e Ori Zur, è una presenza costante ma discreta. I temi orchestrali accompagnano il viaggio senza sovrastarlo.
Nonostante gli evidenti passi avanti, alcune scelte di design tradiscono le radici storiche del titolo. I caricamenti tra una sezione e l’altra, sebbene ora skippabili, spezzano un pò il ritmo di gioco. L’esplorazione rimane vincolata a compartimenti chiusi, e la libertà d’azione è più suggerita che effettivamente concessa. Sono aspetti che possono risultare spiazzanti o fastidiosi ma rappresentano anche una parte integrante del fascino dell’opera: un invito a rallentare, a soffermarsi, a osservare invece di correre. Rigiocare Amerzone oggi è un’esperienza carica di suggestioni, soprattutto per chi aveva vissuto l’originale. È come riaprire un vecchio diario di viaggio: le emozioni tornano a galla, arricchite dal piacere di ritrovare luoghi amati ora restituiti con una bellezza nuova, senza che ne sia stata cancellata la patina del tempo.
La recensione
Una perla raffinata, capace di brillare ancora oggi grazie a un restauro rispettoso e a una direzione artistica che celebra il sogno, la scoperta e la bellezza fragile dell'avventura. Amerzone – The Explorer’s Legacy è, in definitiva, un omaggio sincero e riuscito non solo a un grande classico dell'avventura grafica, ma anche al suo autore, Benoît Sokal, e alla sua visione unica del videogioco come arte narrativa. Pur con qualche inevitabile rigidità dovuta all'età concettuale dell'opera, il remake riesce a emozionare e coinvolgere.