Sorry We’re Closed: la recensione

Segui gli ultimi giorni di Michelle e la sua battaglia per spezzare la maledizione lanciata su di lei da un potente arcidemone in cerca d'amore. Aiuta (o ostacola!) la vita dei curiosi residenti del vivace borgo londinese di Michelle mentre quest'ultima cerca la libertà dalla sua prematura morte.

Il panorama indipendente è ormai una fucina inesauribile di idee, capace di proporre esperienze tanto originali quanto audaci, libere dai vincoli commerciali delle grandi produzioni. Se il settore AAA punta su produzioni sempre più spettacolari e costose, il mondo indie è il vero terreno di sperimentazione, capace di spaziare tra generi, stili e soluzioni di gameplay impensabili per i colossi dell’industria. In questo contesto, Akupara Games si è affermata come uno degli editori più versatili e interessanti del settore, supportando titoli di grande impatto artistico e concettuale. Dalla folle e surreale avventura testuale Mutazione, alla poetica esperienza musicale di A Night in the Woods, passando per l’affascinante e minimale roguelike GRIME, Akupara ha dimostrato una propensione naturale per progetti dalla forte identità estetica e narrativa. Ogni loro titolo è caratterizzato da una direzione artistica ricercata, meccaniche di gioco curate e una spiccata attenzione per le atmosfere immersive. In questo solco si inserisce anche Sorry We’re Closed, un survival horror dallo stile distintivo, che strizza l’occhio ai classici del genere ma con un’estetica e un’atmosfera inconfondibili. Un progetto che punta a combinare nostalgia e innovazione, immergendo il giocatore in un viaggio oscuro e disturbante, che richiama i fasti dei survival horror anni ‘90 ma con un tocco personale e moderno.

Se c’è un aspetto in cui Sorry We’re Closed si distingue immediatamente è il contesto narrativo: folle, imprevedibile, e per certi versi provocatorio, capace di stravolgere i classici stilemi dell’horror. Lontano dalle solite storie di infestazioni sovrannaturali o esperimenti falliti, il gioco di à la mode games si muove in territori più astratti e psichedelici, confondendo continuamente il giocatore con un world building frammentato e onirico. Il racconto ruota attorno a Michelle, una giovane londinese la cui vita viene improvvisamente sconvolta da una maledizione oscura. Vittima di una misteriosa entità chiamata La Duchessa, Michelle è costretta a confrontarsi con un universo dove il confine tra reale e irreale si assottiglia progressivamente. La maledizione non è solo un pericolo fisico, ma anche un lento deterioramento della sua percezione del mondo, facendola sprofondare in una spirale di eventi sempre più inquietanti e deformati. La grande intuizione di Sorry We’re Closed è la sua capacità di giocare con le prospettive, mettendo il giocatore nella scomoda posizione di non poter mai fidarsi completamente di ciò che vede e di chi incontra. Gli alleati potrebbero essere carnefici, gli antagonisti forse guide involontarie, e ogni ambiente sembra mutare sotto i nostri occhi, ribaltando continuamente il senso della narrazione. Questo approccio narrativo sfida il giocatore, proponendo un’esperienza che non si limita a raccontare una storia, ma la trasforma in un viaggio sensoriale che stupisce, disturba e provoca, invitando a mettere in discussione ogni certezza lungo il cammino.

Dal punto di vista ludico, il titolo potrebbe essere definito un horror atipico tra esplorazione e tensione psicologica. Sorry We’re Closed si inscrive nel genere survival horror, ma con una struttura e un gameplay che sfuggono alle convenzioni più classiche. Pur condividendo elementi con i grandi nomi del settore, da Silent Hill a Resident Evil, il titolo di à la mode games si distingue per un loop di gioco più intimo e atipico, dove l’horror non è dato solo da mostri e minacce tangibili, ma dalla sensazione costante di essere intrappolati in un incubo che si piega su sé stesso. Il gameplay si basa su un’alternanza tra esplorazione, interazione ambientale e fasi di combattimento, con un’impostazione da visual novel interattiva che spinge il giocatore a indagare il mondo circostante, parlando con personaggi enigmatici e raccogliendo indizi sulla propria maledizione. L’elemento horror è più legato all’atmosfera e alla narrazione che al puro gameplay: le ambientazioni mutano sotto i nostri occhi, gli NPC parlano per enigmi, e la realtà stessa sembra deformarsi a ogni passo. Il titolo introduce anche fasi di combattimento in prima persona, che richiedono riflessi rapidi e un utilizzo attento delle risorse, mantenendo viva la tensione. Tuttavia, il cuore dell’esperienza rimane la gestione dell’angoscia e della paranoia, con un horror che gioca sulla percezione e sulle emozioni più che sul puro spavento da jump scare o sull’azione frenetica.

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