Negli ultimi anni, il panorama indie ha dimostrato di essere un terreno fertile per la sperimentazione, capace di rielaborare idee classiche con nuove chiavi di lettura. Grazie alla libertà creativa che caratterizza questo settore, gli sviluppatori indipendenti possono esplorare temi universali senza i vincoli imposti dalle grandi produzioni, dando vita a esperienze capaci di sorprendere e inquietare. Uno dei soggetti più affascinanti è senza dubbio la progressiva perdita della sanità mentale, un topos narrativo caro alla letteratura horror e fortemente influenzato dall’immaginario lovecraftiano. Il concetto di un protagonista in bilico tra realtà e follia è stato declinato in numerosi titoli, ma gli indie riescono spesso a interpretarlo con meccaniche originali. The Stone of Madness ne è un esempio perfetto: mescolando stealth, strategia e gestione della psiche, il gioco si addentra nei meandri della mente umana, offrendo un’esperienza che mette alla prova il giocatore tanto a livello tattico quanto psicologico.
Nel gioco affrontato qui oggi sulle nostre pagine ci troveremo davanti un manicomio dipinto tra realtà e follia. The Stone of Madness immerge il giocatore in un’ambientazione che trasuda inquietudine e decadenza, trasportandolo in un monastero spagnolo del XVIII secolo trasformato in un manicomio. Questo luogo, simbolo di prigionia e disperazione, funge da palcoscenico per una narrazione in cui la mente umana diventa il vero campo di battaglia. I personaggi controllabili sono detenuti senza via di scampo, ognuno afflitto da traumi e disturbi psicologici che si intensificano man mano che il gioco avanza. La premessa narrativa non è solo un pretesto per l’azione, ma un elemento centrale che modella ogni interazione e influenza direttamente la sopravvivenza dei protagonisti. A rafforzare l’atmosfera opprimente ci pensa la direzione artistica, che si ispira alle illustrazioni pittoriche spagnole, con uno stile visivo che richiama le opere più cupe di Francisco Goya. I tratti sporchi, i colori terrosi e l’uso magistrale di ombre e luci contribuiscono a creare un’estetica che amplifica il senso di disagio e imprevedibilità. Questa scelta stilistica non è solo decorativa, ma si lega perfettamente al tono del gioco, unendo arte e narrativa in un connubio che rende il world building ancora più immersivo. Il tema della follia è il fulcro dell’esperienza, e la progressiva perdita di sanità mentale non si riflette solo nella storia, ma diventa un meccanismo concreto che influenza il comportamento dei personaggi, alterando la percezione della realtà e spingendo il giocatore a confrontarsi con un’angoscia crescente.
A livello di struttura il prodotto spagnolo potrebbe essere definito come uno stealth strategico fuori dagli schemi. Sebbene The Stone of Madness si presenti come uno stealth game isometrico, infatti, la sua struttura va ben oltre i confini del genere, mescolando elementi presi da più ispirazioni ludiche per creare un mix inusuale e coinvolgente. Il cuore del gameplay ruota attorno all’evasione dal manicomio, ma l’approccio richiesto non è quello di un classico stealth d’azione: qui non c’è spazio per reazioni rapide o combattimenti frenetici, bensì per pianificazione, gestione delle risorse e controllo della psiche dei personaggi. Ogni detenuto ha infatti caratteristiche e disturbi mentali specifici, che influenzano il modo in cui percepisce il mondo e reagisce agli eventi, costringendo il giocatore ad adattare di continuo la propria strategia. Il loop di gioco si divide in tre fasi principali: esplorazione, gestione e fuga. Durante la fase esplorativa, è necessario muoversi con cautela tra le stanze del manicomio, evitando le guardie e cercando indizi e strumenti utili all’evasione. La fase gestionale si concentra sulla sanità mentale, che può variare in base alle azioni compiute e agli eventi subiti: se un personaggio è troppo stressato, potrebbe iniziare a vedere cose che non esistono o perdere il controllo, rendendo più difficile la coordinazione del gruppo. Infine, la fase di fuga rappresenta il climax dell’esperienza, in cui tutto ciò che è stato raccolto ed elaborato viene messo alla prova in un disperato tentativo di abbandonare l’incubo. Le interazioni con l’ambiente e gli NPC sono limitate ma cruciali: il giocatore può raccogliere oggetti, risolvere enigmi ambientali e manipolare alcuni elementi del livello per creare distrazioni o varchi di fuga. Il tutto è reso ancora più complesso dalla natura procedurale delle sfide, che cambiano a ogni tentativo, costringendo il giocatore a rimodulare continuamente il proprio approccio. Questo equilibrio tra stealth, strategia e gestione psicologica dona a The Stone of Madness una personalità unica, distinguendolo dai più classici esponenti del genere.
Oltre a una giocabilità intrigante, ma non sempre gestita in maniera ottimale nel bilanciarne le diverse componenti, anche il versante tecnico è piuttosto altalenante, quantomeno nella versione Nintendo Switch da noi provata. Se l’atmosfera e la direzione artistica di The Stone of Madness riescono a colpire nel segno, lo stesso non si può dire del comparto tecnico, che soffre di diversi problemi che ne compromettono la fluidità. I tempi di caricamento risultano eccessivamente lunghi, spezzando il ritmo dell’esperienza e rendendo ogni tentativo di fuga più frustrante del necessario. Il frame rate è instabile, con cali evidenti anche in situazioni tutt’altro che caotiche, il che mina la reattività di alcune azioni fondamentali, come il movimento furtivo e la gestione simultanea di più personaggi. Anche la gestione della telecamera e delle inquadrature non convince del tutto: la visuale isometrica, sebbene funzionale al genere, tende a rendere poco chiari alcuni dettagli ambientali, mentre le compenetrazioni tra modelli e oggetti risultano frequenti, generando situazioni poco leggibili. Nel complesso, il gioco avrebbe beneficiato di una maggiore ottimizzazione tecnica, perché, pur avendo idee solide, l’esecuzione soffre di problemi che rendono l’esperienza più frustrante di quanto dovrebbe essere.
La recensione
The Stone of Madness è un’idea brillante, ma zavorrata dai problemi tecnici; esperimento affascinante, che unisce stealth, strategia e gestione della sanità mentale in un contesto visivamente suggestivo e narrativamente intrigante, senza convincere fino in fondo. Il mix di gameplay offre una sfida stimolante, ma viene penalizzato da problemi tecnici evidenti, tra tempi di caricamento eccessivi, fluidità incerta e una gestione della telecamera poco precisa. Il potenziale c’è, e chi saprà chiudere un occhio su queste pecche troverà un’esperienza unica. Per tutti gli altri, il rischio è di rimanere più frustrati che coinvolti.