C’era una volta il platform 3D: sembra il titolo di un film nostalgico, di una pellicola d’altri tempi, ma è invece la triste realtà del panorama videoludico contemporaneo. Le dinamiche del pubblico di massa hanno fatto convergere budget sempre più pesanti verso titoli di grande fruizione cinematografica o, accanto ad essi, produzioni incentrate primariamente sulla proposta continuativa di aggiornamenti rivolti a consumi spalmati su archi temporali dilatati, principalmente fruibili tramite l’accesso al multiplayer online. In netta contrapposizione a questo filone dell’Eldorado produttivo troviamo, per nostra grande e sempre troppo sottovalutata fortuna, il contesto indipendente, fatto al contrario di titoli meno ambiziosi, spesso legati a dinamiche retrò (sia per quello che concerne il versante tecnico, che sotto il profilo puramente stilistico), tra rogue-like e metroidvania in pixel-art o a 8-bit. In tutto questo movimento tettonico che tende a creare un’enorme voragine tra le due placche in allontanamento inesorabile l’una dall’altra si è venuto a creare un vuoto creativo che solo occasionalmente arriva a proporre qualcosa in grado di saziare la domanda, latente ma ancora viva, di giochi impostati in maniera differente. Parliamo, in particolare, di titoli che potremmo definire AA, secondo cornici strutturali differenti e lungo i binari di generi quasi dimenticati. Tra questi, un posto d’onore lo occupano senza dubbio i platform 3D.
Cosa si intende con questa definizione? Sostanzialmente quel tipo di prodotto il cui portabandiera ancora oggi è Super Mario, con i suoi episodi alla Odissey, affiancati recentemente per fortuna da un altro progetto di grande respiro da parte di un concorrente diretto che si annovera, però, tra i più grandi publisher del settore: non sottovalutate, infatti, la carica esplosiva e immaginifica anche del recente Astro Bot di Sony, su PlayStation 5. Ma, al di là di pochi e sporadici progetti quel tipo di giocabilità è andata scomparendo nel corso degli ultimi lustri, soppiantata da action o shooter di varia natura e dubbia provenienza, lasciando sostanzialmente solo ai nostalgici il ricordo quasi malinconico dei fasti di un tempo: se un Crash ci ha provato, non possiamo dire lo stesso per capisaldi del genere come Donkey Kong (la cui assenza di un vero e proprio progetto in ambito tridimensionale grida ancora oggi vendetta) o Banjo-Kazooie. Difficile porre la croce di questo cruccio sulle spalle di team piccoli e squattrinati come spesso sono quelli che si sono già presi carico di mantenere vive tante antiche vestigia videoludiche in ambito indie, tramite l’autopubblicazione sui vari store digitali come l’eShop, ma accogliamo senza dubbio a braccia aperte quei temerari che, all’alba del 2024, ancora non vogliono gettare la spugna e si affacciano sul mercato competitivo di oggi con una lettera d’amore verso questo particolare approccio all’intrattenimento digitale interattivo tipico degli anni a cavallo tra la fine degli anni ’90 e i primi 2000. Come nel caso di Nikoderiko: The Magical World.
Partiamo dai protagonisti: unisciti a Niko e Luna nella loro missione in in questa avventura piena di colori. Sin dalle prime battute è evidente l’intento di riportare alla mente certi stilemi, a cominciare dall’utilizzo di mascotte antropomorfe ma al contempo zoomorfe, portando alla ribalta personaggi cromaticamente audaci tanto quanto il loro simpatico design. Il dinamico duo (!!!) scopre una reliquia antica su un’isola magica, ma il malvagio Grimbald della Cobring Gems Company (una cricca di serpentiformi esseri malvagi) la porta via. Per salvare l’isola e le sue tribù dagli oscuri poteri che questi cattivi potrebbero scatenare, i vostri avatar dovranno attraversare sette mondi unici con l’aiuto dei loro amici animali (altro grande richiamo al passato) e sconfiggere l’esercito di Cobring. Ma gli elementi nostalgici non finiscono certo qui: se infatti il design appare senza dubbio poco serioso e anzi adatto anche a un intrattenimento famigliare, Nikoderiko inserisce tantissimi elementi prettamente ludici per mantenere la promessa di un viaggio magico e misterioso per tutte le età. Il suo universo finzionale è variegato e ricco di personaggi adorabili e zone amichevolmente piacevoli, alternate a boss epici e variazioni sul tema di gioco che strizzano entrambi gli occhi agli anni ’90: come non citare i carrelli da miniera, i livelli di inseguimento e le avventure sottomarine, oltre alle cavalcate di animali gargantueschi? In più, ogni mondo presenta punti di riferimento iconici e aree tematiche uniche per i boss di fine livello, spesso in grado di alzare non di poco il livello della sfida. Nell’insieme, l’evocazione di altre bestie giocabili con diverse abilità uniche, che fungono sia da cavalcature utili per Niko e Luna che da preziosi alleati in battaglia, il clima festoso e gioioso che caratterizza tutta l’avventura, l’alternanza tra inquadrature laterali per un approccio 2.5D con momenti in cui sarà invece possibile “entrare” in profondità lungo i quadri di gioco rappresentati a schermo variando visuale e punto di vista riporteranno alla mente dei più tanto le disavventura di Donkey Kong quanto le sfide dei più famosi Crash Bandicoot, unendo le parti migliori di entrambi i brand in un qualche cosa di davvero riuscito, sotto il profilo puramente platform.