Guayota: la recensione

Ispirato alle leggende delle isole Canarie e alla mitologia Guanches, Guayota racconta la storia di un gruppo di esploratori mandati dal regno spagnolo alla ricerca della leggendaria isola di San Brandano: capirai presto che quest’isola, ritenuta un paradiso in terra, potrebbe in realtà nascondere segreti più oscuri...

Sulla carta i diversi elementi che compongono l’opera si preannunciano piuttosto interessanti, tra grafica tridimensionale intrigante, per quanto semplicistica; giocabilità mista tra esplorazione e puzzle solving; trama ispirata ai misteri dei Grandi Antichi. Il problema nasce però nel momento in cui la curva di difficoltà si scontra con una ripetitività estrema che, assieme a un eccessivo ermetismo tanto del canovaccio quanto della risoluzione logica degli enigmi ambientali, finisce per appesantire davvero troppo l’esperienza di gioco. In pratica, spesso e volentieri gli enigmi tenderanno a ripetersi sempre uguali tra loro, almeno all’interno del medesimo labirinto; in fin troppe occasioni le trappole ambientali si risolvono in una delle così dette “instant death“, costringendovi a ripetere l’ultima sessione di gioco dopo l’ennesimo game over; troppo sovente vi capiterà di non riuscire a comprendere il passaggio logico necessario per superare una nuova tipologia di ostacolo, visto l’eccessiva volontà del titolo di non dialogare con l’utente, lasciando che sia la narrazione implicita nel level e nel game design a farsi portatrice di significati, con il risultato di spingervi sull’orlo della frustrazione; in ultima analisi, anche il racconto predilige questo ermetismo comunicativo, intrigando con il sul costante mistero l’attenzione e la curiosità del lettore-giocatore, ma finendo per ingarbugliarsi fin troppo sulle sue stesse pieghe, uscendo dal seminato di una indecifrabilità intesa come cifra stilistica e finendo per guidarvi nel nebbioso territorio della incomprensibilità. Insomma, le intenzioni sono buone tanto sotto il versante ludico quanto sotto quello della storia, ma l’esecuzione non convince fino in fondo.

Un discorso simile può essere fatto anche parlando della componente tecnica: il titolo ha una discreta direzione artistica, nonché l’audacia di non accontentarsi dell’ormai satura ed abusata pixel art o della spesso stantia impostazione bidimensionale, cercando di spostare l’azione su un concetto di tridimensionalità più fresca a contemporanea. Cambi di inquadratura vi offriranno interessanti scorci delle diverse aree, regioni e labirinti presenti nel progetto, per poi passare solitamente a una visuale isometrica dall’alto nelle fasi indoor, all’interno dei templi-labirinto, guidandovi a una lettura apparentemente chiara della scena, fondamentale per la risoluzione degli enigmi ambientali. I problemi iniziano però nelle scelte stilistiche, troppo spesso virate verso un’oscurità eccessiva per la tipologia di prodotto, per quanto giustificata dai toni di una narrazione più dark di quanto il colpo d’occhio grafico-visivo faccia intendere ad un primo sguardo. Resta infatti la difficoltà di comprensione del contesto, a causa di questa alternanza tra luci e ombre, non sempre digeribile con una scrollata di spalle, visto il livello di difficoltà medio-alto del titolo. Anche i tempi di caricamento e alcuni rallentamenti del frame rate a tratti anche fastidiosi sembrano inoltre confermare una mancata ottimizzazione del gioco in versione Nintendo Switch, facendo a volte storcere un po’ il naso. Nell’insieme, la produzione indie sa farsi apprezzare per la volontà di uscire da un seminato fin troppo sicuro e, pertanto, oggi persino banale, ma non sempre la programmazione rende giustizia alla visione del team di sviluppo né, conseguentemente, alla volontà di fruizione da parte del giocatore.

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La recensione

6.5 Il voto

Intrigante per struttura ludica e world building di ispirazione lovecfaftiana, Guayota soffre di una realizzazione non eccelsa dal punto di vista del puro game design, con picchi di difficoltà elevati soprattutto a causa di una comu

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