Nell’industria del videogame ci sono sempre stati veri e propri paradigmi, non necessariamente prestabiliti a priori da dinamiche decisionali prevalentemente finanziare, dettate dai grandi conglomerati di pubblicazione, come avvenute forse in maniera piuttosto netta nel corso degli ultimi dieci anni, con l’identificazione di profonde necessità di standardizzazione nell’ottica di ottimizzare gli sforzi e ottimizzare i risultati di vendita presso un pubblico di massa sempre più profilato. Stiamo infatti parlando di strutture ludiche dogmatiche, di stilemi di genere che si sono affermare tanto presso gli studi di programmazione quanto presso i consumatori in via quasi del tutto spontanea, andando a definirsi NEL mercato, e non al di fuori o al di sopra di esso. Tra i vari legami tra struttura ludica e contenuto abbiamo spesso visto quello tra l’inquadratura in terza persona e un ritmo esplorativo adrenalinico, composto da elementi acrobatici e platform, sin da quando la tecnologia ha consentito la corretta rappresentazione a schermo del proprio avatar in via integrale, tra animazioni e tempi di latenza ottimizzazi per il miglior senso di responsività possibile. Almeno fintanto che non si sono presentati sul proscenio degli attori al contempo classici, ma diversi e inaspettati, paradossalmente spesso con iniziative nate proprio quei grandi publisher che, di norma, avrebbero maggiori vantaggi nel continuare a muoversi lungo il solco già tracciato da sé stessi e dai propri simili, riducendo il rischio d’investimento. Pensiamo ad esempio al ritorno in pompa magna di un classico scroller a orientamento orizzontale come Metroid, che su GameCube fece un ingresso trionfale nella tridimensionalità poligonale cambiando uno dei pilastri del proprio concept, spostando la visuale all’interno del casco futuristico dell’avventuriera spaziale: pianti e stridore di denti, subito zittiti dal livello qualitativo eccelso di quello che, ancora oggi, resta un assoluto capolavoro ANCHE grazie all’immedesimazione garantita dall’ottimo lavoro svolto da Retro Studio (come potete leggere anche nella nostra recensione della meravigliosa versione rimasterizzata per Switch). Ma non solo…
Un altro esempio lampante e per certi versi persino più rivoluzionario è stato il progetto intitolato Mirror’s Edge, pubblicato ancora una volta da un gigante dell’industria come Electronic Arts nell’ormai lontanissimo 2008 e poi riproposto con una sorta di soft reboot (dal nome Catalyst) nel più recente 2016; si tratta di un vero e proprio action adventure con tantissime sezioni platform estremamente adrenaliniche, che si pone l’obiettivo di traslare in ambito di interazione digitale la pratica del parkour, immedesimando al massimo il fruitore NEL proprio avatar, grazie ad una prima persona inizialmente piuttosto straniante: addio ingessatura dei movimenti, rotazione sul proprio asse per cambiare direzione, visualizzazione semi-statica degli arti superiori e benvenuta camera dinamica, benvenuta visualizzazione movimentata di mani ma anche arti inferiori, benvenuta capacità di correre, abbassarsi, saltare in maniera fluida, grazie a un’elevato numero di animazioni concatenate in maniera continuativa tra di loro, senza soluzione di continuità. Certo, molti subirono l’infausto effetto della motion sickness, ma superata la barriera percettiva inizialmente frullata dal dinamismo estremo di un punto di vista centrale, immediato ma mai statico, quello che il pubblico si ritrovò tra le mani fu un titolo sì sperimentale, ma capace di raggiungere molti dei suoi obiettivi e, soprattutto, di mostrare come fosse possibile disancorare la prima persona da quel feeling da “tank” che sostanzialmente tutti i titoli con quell’approccio di visualizzazione proponevano all’epoca. Affermazione forse fin troppo provocatoria, ma è persino lecito sostenere che, senza il coraggio di Mirror’s Edge, forse non avremmo avuto nemmeno DOOM del 2016 da Bethesda, quantomeno non articolato secondo quelle dinamiche così frenetiche da picchiaduro in prima persona che invece ha saputo esaltare tanti appassionati. Senza dubbio, sempre sotto la stessa etichetta (ma dalla sapiente mano di Shinji Mikami, prima di lasciare l’ormai defunta Tango Gameworks) possiamo annoverare un altro progetto capace in qualche modo di proporre un approccio similare: in Ghostwire Tokyo, infatti, sarete chiamati sì, ad indossare i panni dell’eroe in prima persona, ma combattendo e muovendovi secondo le dinamiche di un titolo action piuttosto frenetico, tanto durante le battaglie quanto in specifiche fasi di esplorazione ambientale. E cosa dire, ancora una volta sotto l’ombrello (molto ingombrante al giorno d’oggi) di Microsoft, del prossimo Perfect Dark? Chi si fosse perso il recente evento Xbox lo recuperi, per restare affascinato dalle dinamiche variegate di un progetto in soggettiva che promette davvero faville, proprio grazie alla capacità di allontanarsi dai classici (ma ormai vetusti) paradigmi del first person shooter.
Ma i grandi nomi non sono i soli, ad aver sperimentato, anzi: come ben sa chi segue le nostre pagine da diverso tempo, non finiremo mai di incensare l’estremo sforzo creativo e di rottura degli schemi che prende vita quotidianamente sugli store digitali da parte del panorama indipendente. Tra le varie realtà ne esistono anche di nostrane, come ad esempio nel caso di Caracal Games: team romano nato nel 2015 e capace, da allora, di immettere sul mercato diversi prodotti di interesse non banale, come il divertente e tosto platform OkunoKa (per altro proprio per Nintendo Switch) o l’ammaliante Downward, che si affaccia oggi sulla piattaforma ibrida della casa di Kyoto forte di una versione ufficialmente nominata Enhanced. Originariamente lanciato per PC nel 2017, con un’accoglienza di critica ancora una volta solida, il gioco prende piede da un interessante spunto narrativo: quando tre pianeti vaganti iniziano misteriosamente ad orbitare attorno all’atmosfera terrestre ecco che inizia la fine di un’era. Nel titolo vestirete i panni di uno dei pochi sopravvissuti all’estinzione della razza umana, intraprendendo un’avventura ambientata nella finale dell’umanità, alla ricerca di una spiegazione per l’apocalisse che ha cambiato per sempre la Terra come la conosciamo. Seguendo l’arco dell’avventura, attraverserete sorprendenti e pericolose rovine di civiltà passate, al fine di trovare i leggendari artefatti destinati a controllare le calamità mortali che si sono abbattute su questo mondo. Il tutto in una solitudine quasi completa ed assoluta, ma non del tutto…fate attenzione, però, perché quello di Downward non è più un mondo per gli umani!