ArcRunner: la recensione

Un meta-virus ha infettato KORE, l'IA della stazione spaziale di classe titano The Arc, attivando il protocollo ArcRunner. Il tuo compito è attraversare la stazione, sconfiggere i suoi guardiani, trovare KORE e ripristinarla. Qual è il problema? Ogni entità robotica su The Arc è contro di te

Il cyberpunk è un genere narrativo che nel corso dei decenni ha saputo espandersi dalla nicchia cartacea da cui era nato (fumetti e libri), per conquistare (come un virus informatico!) sfere di intrattenimento sempre più ampie, diverse e variegate: dalla pellicola dei film all’interattività digitale dei videogame, passando dal Neuromante a Matrix, fino ad arrivare al famosissimo e recente gioco dei CD Projekt RED (che ne porta il nome proprio all’interno del titolo stesso del progetto). Ma a ben vedere è anche difficile relegarlo soltanto all’interno dei canoni di una tipologia di racconto, trattandosi in sostanza di una filosofia, di un’estetica o, in sento più ampio, di una concezione del mondo (contemporanea ormai, seppur per sua natura aggettata verso il futuro, per quanto ormai prossimo e attuale) a tutto tondo: esso trae spunto da una fondata e timorosa critica allo sviluppo senza limiti della tecnologia, spinta fino al risultato finale di un controllo onnipresente (e onnipotente) della macchina (o dell’uomo dietro la macchina) sull’individuo, tendenzialmente da parte di una società oppressiva, governata da corporazioni tanto ricche quanto malvagie. Spesso fraintesa come semplice visualizzazione di un’eccessiva intrusività di chip e metallo nelle nostre vite quotidiane, si tratta in realtà di un concetto di forte critica sociale e antropologica, molto profondo e da non sottovalutare.

Termine comparso per la prima volta nel 1983 sulla rivista di letteratura fantascientifica nota come Amazing Science Fiction Stories, venne presto ripreso per indicare e raggruppare tutta una serie di romanzi o racconti dell’epoca (come quelli di William Gibson, Bruce Sterling e tanti altri ancora), accomunati da una serie di principi ideologici appunto: con il Neuromante come icona più conosciuta ancora oggi per gli albori di questo movimento spontaneo, il cyberpunk riuscì a delineare una determinata enfasi per lo stile ultra descrittivo, spesso onomaturgo e in gradi di sviluppare una pletora di neologismi linguistici affascinanti e stranianti allo stesso tempo, spingendo sul tasto della fascinazione del significante oltre che sull’approccio visionario dei significati. Il tutto per denunciare in maniera ucronica il potenziale pericolo dello sviluppo incontrollato delle tecnologie, soprattutto in ottica di assolutismo politico-governativo, ipotizzando sconvolgimento socio-antropologici di larga portata, oggigiorno fin troppo realistici, senza dimenticare l’analisi percettiva sul virtuale, in grado di offuscare già allora la definizione stessa di realtà, limandone i confini con la rappresentazione percettiva digitale. Un rapporto contraddittorio e violento tra l’uomo e la tecnologia, figlio di dipendenze tanto psicologiche quanto organiche, tra innesti cibernetici, integrazione uomo-macchina, ultra-connessione e altri elementi che fanno sì che il corpo smetta di essere percepito come tempio sacro e venga visto come potenziabile, in un concetto contemporaneamente evolutivo e regressivo, a partire dal suo elemento più intrinsecamente legato al concetto stesso di essere umano: il suo cervello, frontiera ultima della percezione del mondo esterno. Figli diretto della fantascienza americana contemporanea, se ne allontana in quando movimento post-moderno elidendo gli aspetti più mainstream della letteratura di genere, creando una nicchia che poi, grazie allo svolgimento complessivo dell’epoca contemporanea spaventosamente vicino proprio alla deriva tecnologica a quei tempi soltanto immaginata come potenziale minaccia futuribile, è stata in grado di allargare la propria sfera di interesse in maniera significativa, grazie anche a tante opere di intrattenimento audiovisivo prima e interattivo poi.

Non stupisce più, quindi, che spuntino produzioni ad esso ispirate un po’ da tutte le parti, alcune più riuscite ed altre meno. Nel caso di ArcRunner dobbiamo ammettere che molti degli elementi compositivi che lo caratterizzano fanno pesare la bilancia più sul versante dei pro, che dei contro: si tratta di un frenetico sparatutto con elementi roguelite sorretto da uno stile (visivo e narrativo) cyberpunk appunto, nel quale dovrete avventurarvi in una stazione spaziale futuristica per resettare una malvagia IA diventata estremamente pericolosa, mettendo a repentaglio la sopravvivenza delle coscienze (non esattamente degli esseri umani) che popolano questa colonia. Il vostro avatar (personalizzabile secondo diversi criteri, sia estetici che ludici) sarà in pratica l’unico (nella modalità single player offline) a bazzicare strade e corridoi di questa ambientazione tecnologica, cercando di arrivare all’ultimo livello del complesso architettonico che ospita il mainframe nemico, tra orde di letali avversari robotici senzienti programmati con il solo obiettivo di eliminarvi. Il vostro compito sarà quello di sopravvivere il più a lungo possibile, addentrandovi in profondità fino al raggiungimento del nucleo dove risiede l’AI corrotta, potenziandovi dopo ogni sconfitta grazie al loot o all’esperienza raccolta, per ritentare di nuovo grazie all’aumento progressivo delle vostre capacità di sopravvivenza e offesa. Il tutto anche in compagnia dei vostri alleati, qualora decideste di affrontare l’avventura anche in modalità multiplayer online: sarà infatti possibile cercare di salvare “The Arc” affrontando l’AI ribelle anche assieme a un massimo di altri tre giocatori, coordinando al massimo le tattiche di battaglia, sparpagliandovi lungo le diverse mappe generate di volta in volta proceduralmente, sempre all’interno di questa distopica metropoli cyberpunk.

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