Ci sono storie che vanno raccontate, perché cariche di significato e, pur affondando le proprie radici nel passato, hanno saputo far maturare frutti molto contemporanei da cui anche il pubblico moderno sta traendo soddisfazione. È questo il caso di Baten Kaitos. Siamo ai tempi del Nintendo GameCube, a inizio secolo: la console della casa di Kyoto propone un design accattivante e molto originale, un prezzo super accessibile, una libreria software ricca di sperimentazione. Ma fatica molto a livello commerciale, vuoi per una eredità difficile, vuoi per l’assenza o le scelte non sempre azzeccate pe ni propri capisaldi tradizionali: da un Mario sostituito al lancio dal meno popolare fratello, a uno Zelda così inusuale da venir apprezzato fino in fondo solo a posteriori e via discorrendo. In questo contesto, chi come il sottoscritto si era appassionato comunque all’offerta presentata da Nintendo e soci arrivò persino a faticare nel recuperare prodotti e titoli in maniera semplice e accessibile, con numerosi negozi che decrementarono progressivamente lo spazio dedicato alla console, ai suoi accessori e ai suoi titoli, appannaggio di una preponderante e onnipresente offerta Sony, a marchio PlayStation, spingendo gli amanti del marchio Nintendo a ricorrere a disperate prenotazioni pur di accaparrarsi una delle poche copie disponibili al lancio di un nuovo prodotto (fatta eccezione per i progetti di maggior richiamo, come l’idraulico baffuto, l’eroe in tunica verde o le rare comparsate di produzioni terze parti di rilievo, come nel caso di Resident Evil). Un panorama in cui, in un sempre complesso rapporto di causa-effetto capace di rimandare all’eterno dilemma sull’uovo e la gallina, proprio i titoli di altre case di sviluppo faticavano a mostrarsi sugli scaffali dei negozi (in un’epoca in cui ancora gli store digitali erano di là da venire), con rare eccezioni. Eccezioni che, paradossalmente, proprio a causa di questo fenomeno finivano per essere ammantate da una certa aura di adorazione da parte dei possessori della console, attribuendo loro un’accezione quasi mitica e leggendaria, capace di trasmettere i valori qualitativi di questi progetti anche alle generazioni successive, guardando a quel difficile ma intimo passato con un affetto nostalgico non privo di un suo valore oggettivo.
Tra queste opere possiamo ricordare ad esempio Skies of Arcadia, ancora oggi forse uno dei “remaster” più attesi dal mercato, con il suo carico di fiabesche ma avventurose atmosfere, piuttosto che Mystic Heroes, una sorta di Musou in salsa chibi, ma secondo molti dotato di uno dei sistemi di combattimento più appaganti in ambito action rpg di sempre. O ancora prodotti già più conosciuti come Viewtiful Joe, innegabilmente inarrivabile come carisma e freschezza tanto grafica quanto ludica, o Final Fantasy Crystal Chronicles, semplicemente rivoluzionario nell’offerta multiplayer locale per quanto riguarda il famoso brand di Square-Enix, nonché curatissimo sotto il versante prettamente stilistico, senza dimenticare il bizzarro, tamarro ma (pertanto?) mitico Metal Gear Solid – The Twin Snakes. Ma come non citare anche le controparti occidentali, dal mai sufficientemente lodato Second Sight, innovativo ed intrigante, al divertentissimo Day of Reckoning, semplicemente imperdibile per gli appassionati di wrestling digitale. Il tutto senza nemmeno iniziare a citare quei prodotti per veri intenditori, un po’ appassionati e un po’ ossessionati, che non essendo mai stati localizzati per il mercato europeo necessitavano di particolari…iniziative private…per poter essere giocati anche da noi. Uno su tutti Winning Eleven 6 – Final Evolution, forse il miglior episodio del titolo calcistico di Konami conosciuto da noi sotto il nome di Pro Evolution Soccer (PES per gli amici). Insomma, davvero (poche) ma meravigliose produzioni, senza dubbio elevate persino al di sopra dei loro standard oggettivi, grazie alla rarità dell’offerta di allora.
Tra tutte queste bellissime offerte, però, ce n’è stata una (anzi, due…più o meno) che si è rivelata, però, più importante di tutte le altre: parliamo, ovviamente, dell’iniziativa di Bandai-Namco in esclusiva per Nintendo GameCube che andò sotto il nome di Baten Kaitos, una nuova serie di giochi di ruolo di stampo giapponese affidata alle sapienti mani di Monolith Soft. il team capitanato da Honne e Takahashi che, esule dalla blasonata Square-Enix, dovette abbandonare i marchi Chrono Cross e Xenogears ma sotto etichetta Namco trovò l’interesse e il budget per portare avanti la visionaria avventura di Xenosaga, salvo poi dedicarsi appunto a questi nuovi progetti per la nuova console della casa di Kyoto. Un progetto per alcuni secondario, in termini di blasone o, più oggettivamente, respiro e ambizione commerciale, ma fondamentale per settare una collaborazione che da lì a qualche anno darà poi i suoi, meravigliosi, frutti.
Articolo ben fatto e che mi ha fatto venire voglia di recuperare il titolo. Attenzione all’utilizzo del “Piuttosto che”.
già mi piaci..! sia per i gusti, che per l’attenzione alla lettura. grazie ai tuoi suggerimenti ho (spero) migliorato l’articolo!