Death of a Wish: la recensione

Abbatti le quattro Fedi del Sanctum, sconvolgendo il mondo intero...ma con uno stile inconfondibile!

Quando pensiamo di aver visto sostanzialmente di tutto, ecco che l’eShop è pronto a sorprenderci ancora una volta. Ebbene sì, perché nonostante le tematiche più disparate, gli stili più fantasiosi, le trovate più bizzarre e le idee di gioco più strampalate, ancora non ci era capitato (non avendo giocato il primo episodio di quella che ad oggi è a tuti gli effetti una serie) un action come questo, analizzato qui oggi sulle nostre pagine. Nel bene e nel male, perché più coraggiosa è la scelta (estetica o ludica che sia), maggiore il rischio di spaesare il fruitore, uscendo dai canoni di interazione e dai solchi interpretativi tracciati all’interno dell’industria. Ma è sempre con mente aperta e curiosità che la nostra redazione si affaccia sul poliedrico e caleidoscopico universo artistico del panorama indipendente e, con questo spirito di avventura e scoperta, affrontiamo la morte di un desiderio…

Death of a Wish è un titolo davvero molto singolare, che potrebbe in ogni caso essere affiancato alla comune e accettata dicitura del genere genere action-adventure, di cui però riesce ad offrire un’interpretazione del tutto particolare, sotto diversi punti di vista. Innanzitutto l’ambientazione: un mondo onirico, popolato da creature da incubo, dove si intreccia un canovaccio basato sulla vendetta (per comprendere a fondo il quale, va detto, sarebbe meglio aver giocate anche Lucah: Born of a Dream, disponibile proprio su Nintendo Switch da diverso tempo, essendo stato pubblicato per la prima volta nell’ormai lontano 2019), ma anche sulle profonde riflessioni che questo cammino solitamente porta con sé; il tutto vivendo le disavventura di Christian (nomen omen) , avatar combattente lanciato dal suo accentante odio contro una misteriosa setta corrotta denominata Sanctum, i cui adepti ( Padre, Sorella, Cardinale e Sacerdote) risultano evidentemente e profondamente intrisi di rimandi religiosi. Vuoi per la sua natura di seguito, vuoi per una precisa scelta costruttiva che nasconde i crismi narrativi dietro alla ricca e soddisfacente sostanza ludica, il world building e la sceneggiatura dell’opera rischiano di passare in secondo piano (anche rispetto all’originalissima e spaesante direzione artistica), ma sanno disseminare lungo il percorso diversi punti di intrigante interesse, per chi saprà coglierli.

L’elemento cardine dell’esperienza è comunque il sistema di combattimento, piuttosto coinvolgente. Nonostante l’evidente volontà di stupire prima di tutto l’occhio del giocatore, infatti, JoyCon alla mano appare piuttosto chiaro l’intento del team di programmazione: il lato interattivo è studiato per offrire un senso di sfida, fiancheggiato da opzioni di accessibilità e, in generale, un senso di soddisfazione sempre presente per chi sia disposto a lanciarsi all’avventura. Diverse le varietà di combo, con svariati poteri tipici di questo genere e opzioni di personalizzazione che incoraggiano la sperimentazione, vera strada per padroneggiare fino in fondo il sistema di combattimento del titolo qui esaminato. Il tutto senza dimenticare necessariamente però anche i giocatori meno esperti, o semplicemente meno avvezzi alle ostiche dinamiche dei souls-like, vista la possibilità di impegnarsi con diversi livelli di difficoltà dedicandosi magari più al proseguo della trama, che non all’eccellenza degli scontri con gli avversari. Bisognerà prendere un po’ la mano con il tutto, anche a causa dell’ermetismo rappresentativo scelto come crisma fondante della resa visiva dell’opera, ma ciascuno dovrebbe poter trovare il proprio modo corretto per affrontare la sfida, godendosi la resa delle diverse combinazioni, la violenza esecutiva delle tante mosse presenti e, contestualmente, il senso di avanzamento progressivo verso il nucleo del racconto.

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