Sulla scia di ormai quasi tutte le software house nipponiche di piccola taglia, anche Idea Factory sta piano piano uscendo dalla sua comfort zone a marchio PlayStation per affacciarsi, in maniera sempre più ingente e convinta, sui lidi Nintendo, grazie all’enorme successo (semplicemente monopolistico in territorio giapponese) dell’ibrida Switch. Tra le tante opere trasportate in ritardo rispetto all’uscita originaria o, al contrario, pianificate con l’hardware di Kyoto in mente sin dal primo giorno, troviamo anche Mugen Souls Z. Il progetto in questione è un gioco di ruolo con molteplici mondi da esplorare, ampia personalizzazione dei personaggi, combattimenti strategici a turni su mappe di battaglia in free roaming, un livello massimo di 9.999 (!!!) e la capacità di infliggere danni per miliardi di punti ferita. Insomma, senza dubbio una produzione sopra le righe, che fa dell’esasperazione di determinati crismi tipici di questo genere e del suo mercato di origine il suo teorico punto di forza. La versione del gioco per Nintendo Switch è fedele alla versione originale giapponese, senza censure di nessun tipo nonostante la presunta ironia fortemente radicata in alcuni aspetti anche discutibili dela cultura autoctona, con tutti gli extra precedentemente sviluppati (come ad esempio i minigiochi sulle sorgenti termali, immagini aggiuntive della galleria in CGI e il supporto completo della lingua inglese sia per il testo che per l’audio) rendendola la versione definitiva del gioco per i fruitori contemporanei, anche grazie alla natura ibrida della console stessa.
La dea indiscussa Chou-Chou è tornata per una nuova avventura mentre tenta di conquistare i dodici mondi dello Zodiaco con l’aiuto di nuovi e vecchi amici-nemici. Nei panni di Chou-Chou, puoi incantare i nemici per trasformarli in servitori shampuru, personalizzare l’aspetto e le abilità dei membri del gruppo, creare nuovi peon e molto altro ancora, il tutto sempre finalizzato all’ampliamento e al rafforzamento del vostro esercito. Mentre Chou-Chou e l’equipaggio navigano tra i mondi a bordo della loro nave spaziale G-Castle (una sorta di robot spaziale degli anni ’90, in grado di trasformarsi all’occorrenza da mezzo di trasporto a unità da combattimento), dovranno collaborare con la nuova dea suprema Syrma per porre fine a un antico male che si è recentemente risvegliato. Il ciclo di gioco consta della necessità di muoversi tra numerosi mondi da esplorare, ricchi di sfide sul campo, affrontando però anche navi spaziali nemiche e incontrando tantissimi personaggi sempre sopra le righe, tutti presentati nell’estetica “moe” in stile anime che tanto piace a una certa fetta di pubblico.
In verità lo stile così deformed e forzatamente tenero finisce presto per cozzare tanto con la personalità dei personaggi, quanto con il presupposto narrativo fatto di lotte all’ultimo sangue per la conquista dell’universo, lungo un continuo alternarsi di incoerenze (tanto estetiche quanto ludiche) piuttosto fastidiose e, a tratti, disorientanti. I combattimenti ad esempio si muovono, a seconda delle fasi di gioco, da approcci più diretti a pianificazioni a turni quasi strategiche, senza un vero e proprio comun denominatore, se non quello rappresentato dalla vuota gimmick dell’elevatissimo conteggio numerico di punti vita e danno; le sessioni intervallano dialoghi poco convincenti a scontri tra navicelle giganti dove teoricamente sarà importante interpretare la tattica avversaria, per selezionare la corretta tipologia di offesa da parte nostra, in una sorta di relazione carta-forbice-sasso tra le diverse opzioni a nostra disposizione; il comparto tecnico fatica tantissimo nel rendere degnamente a schermo tanto gli elementi poligonali di personaggi e ambienti, quanto la fluidità delle loro animazioni. Nel complesso, il prodotto sembra davvero faticare a trovare una propria collocazione all’interno dell’odierna offerta presente sulla console.
La recensione
Tecnicamente discutibile, il titolo lascia più di una perplessità anche in termini puramente strutturali, con fasi confusionarie e momenti diversi mischiati tra loro in maniera poco organica e a tratti sconclusionata. Non bastano sporadici sprazzi di ironia e personaggi così sopra le righe da risultare persino fastidiosi e mantenere alto l'interesse del fruitore.