Sembra quasi che gli sforzi del team si siano dedicati, infatti, allo sviluppo di un titolo capace di coinvolgere la curiosità e l’attenzione del giocatore, senza porgli però problematiche di gestione legate a strutture di gioco pensate apposta per sfidare il fruitore in maniera esplicita o, addirittura, esagerata, pensando al contrario all’insieme di interazioni possibili inserendole in un contesto esperienziale fluido, organico e costante. Niente frustranti dinamiche rogue-lite, nessun picco incomprensibile di difficoltà, abbandonata l’ansia del salvataggio-miraggio e persino lasciato alle spalle il rigido sistema di limite temporale presente come spada di Damocle alle origini del brand e sostituito invece qui dallo scorrere del ciclo giorno-notte inteso principalmente come alternanza tra diverse fasi di gioco e poco più. Il che non implica che non ci sia ancora quella che, anzi, è un’assoluta necessità di “dandori“: la filosofica capacità di organizzare al meglio le proprie risorse nella maniera più efficace possibile per raggiungere una pletora di obiettivi entro un determinato lasso di tempo, facente parte della nervatura culturale della razza aliena protagonista del gioco. Nessun forzato ostacolo extra-diegetico, quindi, ma grande concentrazione da parte dei programmatori nel realizzare svariate sfide intra-diegetiche, intrecciate nel tessuto di gioco, attraverso la raffinata cura del dettaglio in termini di level design ed elementi ambientali, proponendo diversi punti di interesse a disvelamento progressivo lungo le aree dei livelli, per quello che a conti fatti si conferma come il capitolo più riuscito della serie, proprio sotto questo punto di vista. Per certi versi, l’ossatura a macchia di leopardo degli elementi interattivi che il giocatore si trova dinnanzi esplorando le mappe e la discrezionalità con cui si possono affrontare i diversi micro-obiettivi in esse contenute ricorda la sintesi ludica degli ultimi episodi di Zelda, dopo il concetto di open world è stato rivoluzionato proprio dalla costituzione di una esperienza deframmentata, pur restando Pikmin 4 molto più limitato e tradizionale, in termini di respiro e ambizione del suo universo finzionale. Ma è in questa ottica di ottimizzazione della user experience che va inteso e giudicato anche un altro grande elemento di novità, rappresentato dal “cane spaziale” Occin: personaggio inedito ma adorabile, si rivelerà presto utile se non indispensabile grazie alla sua capacità di mettere in pratica svariate azioni dietro nostra indicazione, risolvendo ben più di un problema. Che sia sfondare una barriera, scavare per trovare tesori o seguire le tracce odorose del nostro prossimo obiettivo, in sostanza il nuovo compagno non si sostituisce agli amati Pikmin, ma li affianca in maniera splendidamente complementare: se da un lato alcune delle sue capacità sono in pratica un miglioramento in termini di QoL di azioni preesistenti e precedentemente affidati ai piccoli alieni, ma ora ottimizzabili attraverso l’ordine impartito una sola volta a una sola creatura, dall’altra grazie a lui aumentano anche le trovate di interazione ambientale verso nuove tipologie di ostacoli, senza contare quanto sia più godibile l’elemento di “traversing” del mondo di gioco, grazie alla sua velocità di movimento, legata anche alla capacità di trasportare sul dorso svariati piccoli esserini. Insomma, benvenuto Occin, sei davvero il miglior amico del…Soccorritore Interstellare!
Sì perché, ancora una volta, il nostro avatar avrà il compito di recuperare qualcosa…e qualcuno, vagando sulla superficie di questo strano pianeta. Oltre ai pezzi di astronave, infatti, sono andati perduti anche…gli esploratori che erano andati alla ricerca del Capitano Olimar, anch’esso disperso. La nostra povera recluta, quindi, dovrà rimettere assieme l’equipaggio, il mezzo di trasporto e, con entrambi, riuscire nella missione principale, che consiste nel recuperare il protagonista dell’intera saga. Il quale verrà impersonato dal giocatore nelle primissime battute di gioco, che per altro vi mostreranno già il luogo dove si cela lo stesso Olimar, salvo poi cambiare repentinamente il punto di vista sul racconto dell’avventura, ma non prima di avervi messo ben più di una pulce nell’orecchio. Il Capitano, infatti, si ritroverà a vagare, gestendo gli amati Pikmin, niente meno che all’interno di un’abitazione! Ed è così che, in Pikmin 4 per la prima volta potrete sì attraversare prati, stagni, caverne e altri paesaggi esterni, simili a quelli già affrontati nelle precedenti incarnazioni del brand, ma anche aree indoor. Elemento non da poco per aumentare a dismisura la varietà ambientale proposta in questo capitolo, ricchissimo per altri di dettagli, grazie tanto alla nuova inquadratura più vicina al suolo, ma anche a una cura visiva davvero notevole. L’implementazione del motore grafico Unreal Engine 4 mostra tutti i muscoli del middleware utilizzato, capace di restituire un’ottima resa ottico-retinica (da sempre marchio stilistico delle produzioni in salsa Pikmin), tra texture ben definite, un’ottima qualità complessiva dell’immagine, modelli poligonali complessi, riflessi di luce sulle superfici d’acqua assolutamente notevoli e via discorrendo, per un colpo d’occhio davvero appagante. Il tutto per altro sostenuto da un frame rate molto stabile (presumibilmente bloccato sui 30fps) e una fruibilità ottima sia in modalità TV che portatile, anche grazie all’introduzione dell’auto-salvataggio, perfetto in ogni occasione. Insomma, se Toy Story e Chibi Robo avessero un figlio nel 2023, questo sarebbe Pikmin 4, in Unreal Engine 4.
La recensione
Pikmin non è mai stato così bello, grazie a un ottimo utilizzo dell'Unreal Engine 4, ma anche grazie alle scelte strutturali (con il cambio di inquadratura) e stilistiche (perché la cura del dettaglio è di altissimo livello) operate dal team di Nintendo. Ma, soprattutto, non è mai stato così godibile, grazie a un ritmo ricco e variegato, seppur meno ansiogeno che in passato, per un'esperienza appagante come solo le produzioni di Kyoto riescono a fare.