Anche sotto i profilo prettamente ludico, per altro, prevale questa sensazione di copia-carbone di cliché prestabiliti, realizzati senza la profondità necessaria per risultare innovativi, o anche semplicemente appaganti nel dipanarsi del titolo. L’esplorazione del mondo viene azzoppata dai tempi di caricamento fin troppo presenti, avendo i programmatori spezzato ogni area del mondo di Horizon in sotto livelli di dimensione davvero ridotta, intervallando continuamente i nostri movimento lungo deserti, città in rovina, giungle o altre ambientazioni anche promettenti, con continue schermate che finiranno per interrompere il senso di immedesimazione e coinvolgimento nell’universo finzionale stesso. Inoltre, anche gli scontri con le creature ostili, per quanto queste siano visibili e le lotte potenzialmente evitabili, saranno un ulteriore elemento di interruzione, capace di spezzare ulteriormente il ritmo della fruizione, a causa della velocità di spostamento nettamente superiore che i mostri avranno rispetto ai vostri avatar, o alla conformazione claustrofobica dei sentieri da percorrere: una somma di elementi che renderà praticamente impossibile evitare il passaggio dall’overworld alla schermata di combattimento, nonostante la volontà propria del giocatore. Entrati poi nelle consuete micro arene in cui si svolgono le fasi di battaglia (ben ricreate, prendendo elementi ambientali precisi e consoni rispetto all’esplorazione in atto in quel dato momento specifico) eccoci catapultati nel più classico dei sistemi di combattimento a turni, dove la barra posizionata nella parte alta dello schermo ci mostrerà la sequenza di suddetti turni, permettendoci un minimo di pianificazione strategica delle nostre mosse, in relazione al momento in cui i vari partecipanti saranno chiamati al loro turno attivo di azione. Peccato, però, che tale livello di analisi sia sostanzialmente del tutto privo di mordente, essendo le fasi di lotta davvero banali e poco strutturate. Una semplice pressione dei tasti principali vi porterà a ripetere in maniera consecutiva e ossessiva le mosse più basiche durante molti degli scontri intermedi, chiedendovi semplicemente di passare alle mosse più potenti e, saltuariamente, di curarvi (con oggetti o magie dedicate a tale scopo) nel corso degli scontri con i boss della missione attiva (dotati di un maggior numero di punti vita e di attacchi in grado di generare un danno più elevato). La totale assenza di un qualsivoglia elemento distintivo (che sia il Bravely/Default del famoso gioco Square-Enix, piuttosto che un sistema di attacchi misti tra action e strategia come in Atelier o Final Fantasy) renderà ben presto il tutto piuttosto noioso.
Coerentemente con quanto descritto finora, anche il versante tecnico sembra avere in nuce diversi potenziali, inespressi però nel prodotto finale o, per meglio dire, espressi non al massimo del loro valore sulla carta. Fa piacere, infatti, che per una volta una produzione indie riesca ad avere il coraggio e la capacità di uscire dai canoni estetici e strutturali in cui ormai molte, forse persino troppe, iniziative finiscono per sfociare, lanciandosi verso la costruzione di un mondo ampio, tridimensionale, esplorabile e piuttosto variegato e ricco. Il rovescio della medaglia, però, è che mettendosi in gioco su un palcoscenico di questo tipo è ovvio come il paragone con produzioni moderne di impianto similare vegano più diretti e spontanei, finendo per affossare anche troppo (rispetto al respiro e all’ambizione proprie di questa iniziative) il risultato finale. Le aree dell’overworld di Horizon, infatti, non sono ampiamente esplorabili, bensì deficitano di reali possibilità di movimento, essendo strutturate lungo stretti e limitati corridoi, affiancati da aree che solo all’apparenza ne ampliano l’apertura e la vastità; la totale assenza di un tasto di salto è implicitamente legata a questo limite costruttivo del mondo di gioco, ma vi darà presto fastidio. Il frame rate, inoltre, procede troppo spesso a scatti, per un gioco che sostanzialmente avrà sempre pochissimi personaggi a schermo, così come i tempi di caricamento, pur non essendo lunghissimi, sono talmente frequenti da risultare a tratti persino frustranti. I modelli poligonali, invece, sono volutamente (e saggiamente, visto il budget a disposizione) semplificati prima di tutto da una scelta stilistica, ancor prima che da una incapacità gestionale, finendo per farsi apprezzare con il loro stile super deformed, purtroppo forse più vicino a titoli come My Sims di Electronic Arts per Wii, che non a un Bravely Default 2 per Switch. Gli elementi artisticamente migliori risultano i ritratti disegnati con i quali vengono rappresentati i personaggi nelle fasi di dialogo e sceneggiatura, mentre il comparto sonoro non resterà negli annali, ma sa offrire almeno alcuni slanci qualitativi a tratti inaspettati.
La recensione
NOOB è un titolo coraggioso, che getta le basi per un universo ludico e narrativo sul quale Microids potrebbe anche decidere di investire di più, in futuro. Il prodotto qui preso in esame, infatti, pare un esercizio di stile solido, ma privo di guizzi artistici o ludici tali da restare impresso nelle menti e nelle mani dei possessori di Switch, senza dubbio in grado di optare per produzioni più ambiziose in ambito RPG.