Sono ormai diversi anni che, nelle varie industrie legate al consumo in generale e all’intrattenimento in particolare, vige la legge di un nuovo business model: quello della nostalgia canaglia, passata da modo di dire o proverbio, a vero e proprio filone multimiliardario per tantissime aziende al mondo. Dal cinema, con i vari re-boot di saghe leggendarie per i nati negli anni ’80 (come per Ghostbuster), affianco agli improbabili seguiti con cast discutibili o estremamente invecchiati (da Star Wars a Indiana Jones e chi più ne ha più ne metta), per passare ovviamente anche alla moda (con il rilancio di marchi, loghi o stili che rimandano al passato, dagli anni ’70 ai più recenti anni ’90), senza dimenticare i nostri amati videogiochi. Un processo comprensibile: chi crebbe allora intriso di fumetti, cartoni animati o console che per la prima volta si affacciavano nel nostro mondo con la prepotenza di una distribuzione massiva, si ritrova oggi ad essere economicamente indipendente, con un discreto potere di acquisto e senza dubbio avvezzo all’utilizzo della tecnologia. Schiavo o meno dei ritmi lavorativi della vita adulta, persino a fronte di una estrema riduzione del tempo libero a disposizione il prototipo di acquirente adulto medio non disdegna di poter comprare, magari comodamente dal divano di casa dopo una lunga giornata in ufficio, un titolo appartenente all’età giovanile, senza dubbio più spensierata, ricca di fantasia e libertà, ma limitata dalle ristrettezze economiche derivanti dalla condizione di mantenuto in famiglia. Un richiamo al passato da vivere con nostalgia, anche solo per un momento (quello dell’acquisto, dell’icona sulla dashboard della propria console, dell’avvio del software per riascoltare quelle note di una canzone persa nella nebbia del tempo andato), per poi tuffarsi a capofitto nell’avventura di noi ragazzi, ora adulti, ma ancora capaci di riaccendere la passione del fanciullino pascoliano. Ed ecco così che le case di sviluppo trovano un nuovo filone d’oro, spesso caratterizzato da grandi ricavi: la riproposizione di vecchie glorie del passato, vuoi con progetti più ambiziosi (come i veri e propri remake di Final Fantasy VII), vuoi con operazioni intermedie (come il buon aggiornamento grafico e ludico fatto su Crisis Core) o, a volte, con semplici rimasterizzazioni in HD delle produzioni originali. Come nel caso della collezione di Final Fantasy: Pixel Remaster.
Se parliamo di nostalgia e di Final Fantasy, è ovvio che si apra un capitolo agrodolce in casa Nintendo, legato ai ricordi di infanzia e gioventù di tanti tra noi appassionati dei videogiochi della casa di Kyoto: parliamo infatti del brand che per definizione ha settato gli standard delle avventure ruolistiche di stampo giapponese già a partire dagli anni ’80 e che, con le sue epiche epopee fantasy, ci trascinava di forza nel groviglio di canovacci narrativi, muri testuali, scorpacciate di statistiche in salsa magica, in netta contrapposizione con le dinamiche più accessibili, fresche e leggere tipiche delle produzioni invece interne ai team di Nintendo. Se da un lato si saltava in testa alle tartarughe, dall’altra su NES e SNES c’erano proprio i titoli di Square-Enix a inebriarci con i loro archi narrativi e le loro disavventure seriose in atmosfere medioevali. Pochi bit e tanta fantasia, nessun poligono ma tripudio di magia: tantissimi appassionati sono cresciuti a pane e Final Fantasy, cominciando a esperire una fruizione videoludica longeva e avventurosa proprio grazie ai primi episodi di questa famosissima saga, fatta di classi e turni, di dungeon e boss, di metallo ed incantesimi, fino a quando tutto cambiò con l’avvento di Sony, dei CD e dei poligoni: con il famigerato capitolo VII, infatti, la casa di sviluppo proprietaria di questo leggendario franchise decise di fare il salto verso una concezione di modernità più cinematografica, resa possibile dal nuovo supporto ottico promosso dalla neo-entrata concorrente in ambito hardware, capace di accogliere scene animate, filmanti e colonne sonore di alta qualità, indirizzandosi verso un pubblico di teenager maschili, nuovo Eldorado dell’intrattenimento digitale promesso da Sony. Modelli 3D, movimenti di camera mutuati dalle pellicole Hollywoodiane, toni e atmosfere più dark accompagnarono l’esordio del brand su altri lidi, staccandosi dalla tradizione del connubio precedentemente esistente e iniziando una nuova era. Ed è quindi catartico che oggi l’intera produzione della prima parte di storia di Final Fantasy torni, disponibile ovviamente anche su console a marchio Nintendo.
I giochi coinvolti sono leggendari e, pertanto, conosciuti sicuramente da tanti, probabilmente dai più tra gli interessati che erano giovani all’epoca; in ogni caso, una ripassata di quello che a tutti gli effetti è stato il brand capace di settare, proprio con questi progetti, il genere per come è stato conosciuto poi in tutto il mondo per decenni, di sicuro non fa mai male. Nel primo episodio, che diede vita a tutto, Terra, Fuoco, Acqua e Vento si pongono come i cristalli della vita, ma… La luce che una volta brillava all’interno dei quattro Cristalli ormai si è spenta. Con il mondo inghiottito nell’oscurità, l’unica speranza dell’umanità è nelle antiche leggende del passato: ecco quindi che l’utente inizia a intraprendere un viaggio avventuroso, nei panni dei Guerrieri della Luce e cercando di salvare il mondo dall’oscurità. Oltre al setting narrativo che da allora a oggi ancora caratterizza moltissime produzioni ruolistiche (anche e soprattutto quelle del team Asano, tanto vicino ai gusti dei possessori di Nintendo Switch), non dimentichiamo nemmeno le componenti ludiche, altrettanto definenti il genere: per la prima volta è possibile cambiare classe per migliorare i propri personaggi, al di là e al di fuori del concetto di crescita di livello, legando il tutto al cambiamento delle statistiche. In Final Fantasy II facciamo conoscenza di un discreto cast di personaggi, scoprendo le svolte meravigliose e a volte tragiche vite, iniziando ad apprezzare anche toni e tematiche non necessariamente così superficiali o scontate; ma sperimentiamo anche un nuovo sistema di livelli delle abilità che rafforza le varie caratteristiche dei personaggi a seconda del loro stile di combattimento, invece di salire normalmente di livello. Ma è con il terzo capitolo che la serie introduce la prima svolta importante sotto il versante della struttura di gioco: nasce qui infatti l’iconico sistema di cambio delle classi. Cambiandole a tuo piacimento sarà possibile usare le varie abilità, avanzando nel gioco e passando da una classe all’altra, come il Guerriero, il Monaco, il Mago bianco, il Mago nero, il Dragone, l’Illusionista o anche l’Invocatore, gestendo in maniera strategica le possibilità di ogni “job“. In Final Fantasy IV la serie si evolve però ancora, dimostrando di non adagiarsi sugli allori: viene infatti presentato qui il sistema Active Time Battle (ATB) in tempo reale, in cui il tempo scorre anche durante la battaglia, dando ai giocatori un emozionante senso di pericolo incombente, tanto caro anche alle riproposizioni più moderne del franchise di Square-Enix. Il quinto capitolo riesce nel delicato compito di equilibrare tanto il sistema di classi del 3° titolo della serie, quanto l’ATB del precedente esponente del genere, in un contesto narrativo fresco e intrigante, grazie all’introduzione forte del compagno Chocobo, sempre affianco del protagonista. Infine, Final Fantasy VI, considerato uno dei giochi più amati dell’intera serie e capace di presentare un nutrito elenco di personaggi giocabili, ognuno con le proprie storie, obiettivi e destini. I giocatori potranno personalizzare le abilità, gli incantesimi e le evocazioni dei membri del loro gruppo con l’acclamato magicite system: per molti, il titolo più atteso di tutti, sperando prima o poi in una forte operazione di remake anche per l’ultimo capitolo classico di una delle serie più iconiche del genere, a livello mondiale.