Siamo nel 2014, in piena epoca Wii U: uno dei periodi più bui per Nintendo, in termini di risultati finanziari, con grosse difficoltà dovute soprattutto alle enormi problematiche commerciali dell’ultima nata in grembo alla casa di produzione giapponese. Dopo l’enorme successo del Wii, quella che ad oggi si rivelerà come l’ultima home console pura sviluppata a Kyoto non ha saputo capitalizzare l’enorme bacino di utenza potenziale ottenuto dal predecessore e, per via di discutibili scelte hardware e di una bizzarra campagna marketing (entrambe imputabili a una unique selling proposition monca, non ben definita e, in sostanza, poco convincente presso un vasto pubblico di massa), finirà per rivelarsi un progetto sostanzialmente fallimentare. Eppure, come dimostrato poi dall’enorme successo dei giochi pensati e proposti originariamente proprio su quella console, nel momento in cui sono stati riproposti su Switch, non tutta l’esperienza maturata durante quegli anni difficili e complicati è da buttare e, anzi, è evidente come la maturità di sviluppo in ambiente HD maturata proprio in epoca Wii U si sia dimostrata poi fondamentale per affermare una libreria software così costante e completa tra gli elementi cardine dell’attuale hardware ibrido. Ma, al di là della produzione puramente interna su cui i team di sviluppo hanno potuto appoggiarsi per diversi anni fino a oggi, sia in termini quantitativi che qualitativi, c’è un altro elemento che è nato tra mille travagli in epoca Wii U ma che si è rivelato poi importante come una delle colonne portanti del “comeback” effettuato con enorme successo da Nintendo Switch. E questo inaspettato e troppo spesso sottovalutato elemento nasce con un progetto che, soprattutto all’epoca, passò in sordina, additato semplicemente come uno spinoff di scarsa importanza e segno, addirittura, delle difficoltà della casa di Kyoto nel trovare una progettualità sufficientemente ambiziosa e risolutrice. Stiamo parlando di Hyrule Warriors. Una delle tante collaborazioni esterne che Nintendo ha messo in piedi all’epoca, per rimpolpare la propria produzione di titoli dedicati alla console casalinga, in sofferenza anche per via dell’output dei team interni, alle prese con due linee di produzione separate (avendo ancora da sorreggere il 3DS, vero e proprio cash-cow sul mercato giapponese) ma anche con le difficoltà del primo balzo in ambito HD. Ma se da un lato alcune di esse osservate col senno di poi appaiono davvero come tentativi disperati di richiamare a sé l’attenzione delle terze parti e di una certa fetta di utenza altrimenti non servita da titoli dedicati a certi segmenti (vedasi il porting HD dei primi due Yakuza, da parte di SEGA), altri avevano una progettualità più a lungo termine e, a conti fatti, si sono rivelate ben più che strategiche.
Il progetto: Nintendo e Koei-Tecmo avviano un profondo rapporto di fiducia reciproca
Il progetto venne annunciato a dicembre del 2013, in un Nintendo Direct che svelò il primo titolo originale di Zelda per Wii U: non uno dei soliti adventure suddivisi tra esplorazione e enigmi, combattimenti e boss battle, ma una collaborazione esterna con Koei-Tecmo che, affidando il gioco alle esperte mani di Omega Force, proponeva per la prima volta le adrenaliniche dinamiche dei Musou ambientandole però nel mondo di Link e compagni. Una Hyrule inedita, mutuata dalla saga nel suo complesso e non facente riferimento a uno specifico episodio del brand di Zelda, che proponeva diversi elementi innovativi per la serie, permettendo molte “prime volte” ai suoi appassionati di vecchia data. Da un lato, era possibile padroneggiare un sistema di combattimento ampio, variegato e profondo, molto orientato all’azione più sfrenata; dall’altro era possibile vestire i panni di tantissimi personaggi estrapolati dai diversi capitoli della saga, impersonando per la prima volta anche personaggi che non fossero direttamente Link. Il tutto all’interno di una cornice narrativa originale, fatta di multiversi e “what if” e, pertando, forse poco coerente o avvezza al pubblico più tradizionale, ma senza dubbio divertente. Longevo e ricco di contenuti, il progetto si discostava molto da un tipico The Legend of Zelda, e probabilmente anche per questo venne intitolato in maniera differente, concentrandosi sull’intero universo finzionale di riferimento, tanto quanto sull’aspetto di combattimento più adrenalinico, coniando così il titolo di Hyrule Warriors. Questa collaborazione, per ammissione stessa delle due parti chiamate in causa, ha consentito a Nintendo di conoscere più da vicino i punti forti e i punti deboli del team esterno, studiandone da vicino anche la passione per ritmi adrenalinici e impronta action, mentre a Koei-Tecmo ha concesso il privilegio di entrare nelle dinamiche di gestione di uno dei brand più prestigiosi del panorama videoludico mondiale, arrivando a comprendere l’importanza di elementi come la coerenza stilistica e narrativa propria del team first party di Aonuma. Un processo di crescita reciproco non da poco, come vedremo poi più avanti.
I risultati di vendita
Il gioco venne pubblicato da Koei-Tecmo sul mercato giapponese e da Nintendo nel resto del mondo; in nessuno dei mercati fu in grado di infiammare le classifiche di vendita, vuoi anche per le enormi difficoltà della console, più che per altri fattori realmente endemici alla produzione in sé. Nonostante questo, però, osservando i numeri complessivi della libreria software dell’ultima home console della casa di Kyoto, appare evidente come, per la natura di titolo spinoff e sperimentale che l’opera rappresentava, i risultati di vendita siano stati oggettivamente positivi per questo gioco. Il titolo fu in grado di vendere 69.090 copie (pari al 57% del distribuito iniziale) nella settimana di lancio in Giappone, riscuotendo un successo maggiore poi in occidente (con un lancio tracciato da NPD sul mercato americano di 190.000 pezzi). Il successo oltreoceano fu persino in grado di stupire Koei-Tecmo, vendendo oltre le iniziali aspettative dello sviluppatore. Nel gennaio del 2015, infine, fu sempre la casa di produzione esterna ad annunciare il traguardo del milione di copie vendute. La lista di million seller (pubblicati da Nintendo) su Wii U è la più corta di sempre e consta soltanto di 17 giochi. Come accennavo, la collaborazione con Koei-Tecmo non rientra in questo computo perché il titolo è stato co-distribuito su diversi mercati, ma immaginandosi che abbia anche solo di poco sforato il tetto del milione di copie, resta un risultato soddisfacente tanto per la casa di Kyoto quanto per il partener esterno, che da tempo non raggiungeva un risultato complessivo così importante, con uno dei suoi Musou e che invece con Hyrule Warriors riesce a ottenere gli stessi risultati del porting HD di Twilight Princess, tra gli episodi principali della saga made in Nintendo. Il gioco fu reputato importante da parte di entrambe le case, tanto da arrivare a riproporlo anche in diverse successive versioni: a marzo 2016 venne pubblicata l’edizione Legends per Nintendo 3DS, mentre nel 2018 uscì una Definitive Edition per Switch (che sembrerebbe non aver superato il milione di copie, per quanto gli unici dati ufficiali relativi al mercato giapponese indichino risultati non dissimili dall’originale per Wii U, con 58.581 copie vendute a livello retail).