Una volta risolti i lati misteriosi di uno snodo narrativo ed esplorata l’area cittadina interessata alle nostre indagini, ecco che avremo la possibilità di inoltrarci anche all’interno di quelle che possiamo considerare vere e proprie aree sotterranee, accostabili ai dungeon tipici della produzione videoludica prevalentemente giapponese. Ambienti tendenzialmente più chiusi, oscuri e irti di pericoli, dove la natura labirintica delle costruzioni architettoniche sarà il nostro primo avversario, dovendoci addentrare in aree inesplorate e complesse. La loro ispirazione stilistica e strutturale, per altro, appare fortemente dadaista, tanto da risultare talvolta di difficile lettura anche in termini visivi, mantenendosi coerente con il senso di straniamento che l’opera tutta cerca di trasmettere all’utente, soprattutto in questi frangenti. L’apparente linearità di questi corridoi alternati a stanze non dovrà infatti ingannarvi, perché anzi al contrario se vogliamo identificare un difetto di questo lato della produzione è proprio legato alla mappatura intricata degli ambienti, tale da portarvi persino a sentire quantomeno un lieve accenno di frustrazione, in diversi momenti del gioco: sarà necessaria parecchia pazienza e un pizzico di costanza per continuarne l’esplorazione, arrivando alla risoluzione di alcuni dei dungeon proposti, senza abbandonarsi a un senso di prematura sconfitta. A sospingervi potrebbe subentrare l’ottima direzione artistica, capace in più di un’occasione ad incuriosirvi e, tramite questo gancio, catturare la vostra attenzione, invogliandovi a proseguire per scoprire nuovi anfratti, angoli nascosti e, soprattutto, il prossimo snodo narrativo, ermeticamente nascosto nell’ombra di queste lugubri e disorientati architetture.
Un altro elemento che ovviamente vi terrà incollati all’opera durante la difficoltosa esplorazione dei dungeon è poi legato al sistema di combattimento: le contorte conformazioni della scena, infatti, non saranno certo le uniche avversità che si riverseranno contro di voi durante questi momenti di gioco. Sotterranei e labirinti saranno infatti, come da tradizione, infestati da numerosi nemici e diverse creature ostili, pronte a pararsi sul vostro cammino e a cercare di fermarvi e di eliminarvi dall’equazione del malato mondo di Mato, quasi che siano voi, le anomalie anticipate nel titolo dell’opera stessa. Gli scontri si susseguono secondo le direttive più classiche dei combattimenti a turni dei giochi di ruolo di stampo occidentale, con la possibilità di selezionare diverse azioni o oggetti durante la nostra fase, lasciando l’iniziativa all’avversario durante il suo turno: il tutto risulta piuttosto statico, privo di grandi spunti creativi o di novità (nessun particolare sistema di accumulo di punti azione, nessun intervento in tempo reale per variare un po’ il ritmo di gioco, nessuna particolarità legata a ruoli o classi dei personaggi), finendo anzi per diventare persino tedioso, a tratti, a causa dell’eccessiva durante anche delle battaglie più comuni ed intermedie. Senza dubbio, per quanto alcune animazioni risultino intriganti e capaci di catturare l’entusiasmo del fruitore, forse questo finisce per essere l’aspetto più migliorabile in un ipotetico futuro seguito.
Come per altri elementi puramente ludici, che a causa dell’estrema varietà finiscono per non essere adeguatamente approfonditi in tutte e sole le loro caratteristiche fondamentali, anche la componente tecnica è vittima della sua stessa ambizione: il tentativo di uscire da dinamiche strutturali e stilistiche forse fin troppo inflazionate in ambito indipendente è lodevole e diversi aspetti sono anche riusciti e, pertanto, da applaudire (uno su tutti: il filtro di toon shading applicato a diversi modelli, ma anche alcuni effetti di luce e rifrazione o diverse texture di superfici), ma altri risentono dell’inesperienza del gruppo di programmatori e, soprattutto, del budget senza dubbio più limitato di quello gestibile dalle grande software house del mercato. La complessità della mole poligonale è spesso sotto alle potenzialità dell’hardware di riferimento; le animazioni risultano a volte un po’ slegate fra loro; il frame rate risente in diverse occasioni di alcuni cali, seppur lievi e temporanei (per cui non tali da risultare fastidiosi, pad alla mano) e, soprattutto, i tempi di caricamento sono fin troppo frequenti e lunghi, andando a inficiare un po’ la fruizione in modalità portatile, tendenzialmente più idonea a partite prive di tempi morti. Nell’insieme, la sensazione è che si sia fatto il passo più lungo della gamba, laddove una certa semplificazione, se applicata con intelligenza e raziocinio, avrebbe potuto offrire un titolo più organico e non per questo meno ambizioso.
La recensione
Ambizione e tradizione si fondono in un'opera che forse risulta vittima dei suoi stessi desideri di grandezza: il respiro che si percepisce in Mato Anomalies è quello di una grande passione profusa in un progetto forse non sufficientemente sorretto dalla risorse necessarie per dare piena espressione della visione intrinseca dell'opera, tanto ricca quanto a tratti non finemente amalgamata. Ci auguriamo che possa nascere un seguito, dopo l'esordio, dove curare al meglio i punti forti di un'opera dalla grande carica creativa.