È innegabile che, pur a fronte dell’enorme carico di innovazione e varietà offerto dal poliedrico panorama indipendente, nel corso degli anni si siano creati solchi di genere e stile più diffusi e comuni di altri, anche all’interno di questo pur creativo scenario. Pixel art o bit retrò, scorrimento bidimensionale, approcci visivi minimalisti, progressioni roguelite, simulatori di vita agreste o visual novel con messa in scena lontana dalla rappresentazione ottico-retinica e così via: da Hollow Knight a Stardew Valley alcuni nomi si sono fatti talmente grandi da settare nuovi standard e identificare moderni trend verso cui puntare la barra della direzione strategica per tante altre realtà e produzioni, epigoni dei precursori di successo. Dinamiche figlie per altro non soltanto del riscontro commerciale ottenuto dagli esponenti più riconoscibili, ma anche dai vincoli intrinseci delle dinamiche di sviluppo indipendenti: team numericamente contenuti, budget ridotti e, conseguentemente, l’obbligo di fare di necessità virtù, indirizzando gli sforzi verso il massimo risultato, attraverso uno sforzo non minimo, ma necessariamente figlio di compromessi. Eppure ogni tanto spunta un progetto diverso, che nonostante debba affrontare gli stessi limiti, dettati dalla mancanza di risorse paragonabili ai Tripla A delle software house di maggior successo, prova a proporre un qualche cosa di respiro più ampio e, sotto certi aspetti, di maggior ambizione. È questo il caso di Mato Anomalies.
Il progetto di Arrowiz presenta un profondo lavoro di world building e narrative design, mettendo il giocatore nelle condizioni di Interpretare il ruolo del Detective Doe, facendosi strada attraverso Mato, una megalopoli neo-futuristica dell’estremo Oriente, indagando su strani avvenimenti in tutta la città e scoprendo segreti lungo la strada, entrando in contatto con un’ampia e variegata rete di altri personaggi, forse non giocanti ma spesso fondamentali per il proseguo della storia. Sin dalle prime battute il protagonista verrà catapultato in un intrico di problematiche e disavventure, in cui i giocatori scopriranno che non tutto è come sembra e saranno spinti (tanto dalla curiosità del dipanarsi del canovaccio, quanto dalle necessità dell’intreccio ludico) a svelare la verità sul Detective Doe e il suo eccentrico e solitario “partner in crime”. Durante la storyline che si articola lungo crismi tanto strutturali quanto estetici mutuati del genere delle visual novel e ispirata stilisticamente agli anime giapponesi, il giocatore, insieme ai suoi compagni, scoprirà molti segreti piuttosto intriganti, mentre lavora per svelare i misteri che la città neo-noir di Mato ha da offrire, percorrendo i passi del detective protagonista, alla disperata e necessaria ricerca del modo per fermare le forze oscure che stanno tramando dietro le quinte di questa società distopica e ucronica, completamente calati all’interno di un’atmosfera che potremmo definire caratterizzata da una tecnologia decadente. La direzione artistica del titolo, infatti, è mutuata da opere come Altered Carbon o Blade Runner, con innovazione digitale mista al richiamo di elementi passati, per una composizione variegata, in grado di trasmettere quasi un senso di contraddittorio anacronismo visivo: architetture in legno, decorate da lanterne cartacee riprese dalla tradizione cinese si affiancano ad ologrammi virtuali per una commistione di elementi e generi peculiare, senza dubbio infusa di personalità, seppur a tratti esteticamente derivativa.
L’approccio poliedrico e variegato alla composizione visiva si ritrova anche in ambito di struttura ludica, con elementi di interattività mutuati da generi diversi, capaci di offrire un potpourrì di differenti dinamiche ai polpastrelli del fruitore. Si inizia con fasi di dialogo e investigazione riprese quasi dal mondo delle visual novel, con tanto di albero di selezione dei dialoghi o momenti di verifica ambientale, necessari per far scattare la successiva fase del racconto, per poi passare a momenti di esplorazione cittadina, in cui potremo invece muovere il nostro personaggi in ambienti metropolitani, per raggiungere determinati luoghi o incontrare NPC specifici, sempre con lo scopo di raggiungere il prossimo obiettivo e poter avanzare lungo il canovaccio verso la fase successiva del titolo. Non si tratta certo di un open world, ma la ricostruzione poligonale di queste aree cittadine è comunque piuttosto ampia, dettagliata e curata da risultare piacevolmente sorprendente, considerando la natura indipendente del piccolo team di sviluppo. Dobbiamo ammettere che le fasi investigative siano ridotte all’osso in termini di profondità delle dinamiche ludiche (nonostante una spruzzata di card game più fuori luogo che integrata al sistema di gioco) e che le interazioni con gli scenari risulta piuttosto basica e superficiale, ma al contrario il lato positivo è quello di un continuo cambio di ritmo e di contesti situazionali tali da mantenere sempre alta l’attenzione e la curiosità del fruitore. Il respiro ambizioso che ha portato i programmatori a cercare la ricostruzione di una megalopoli di overworld da esplorare porta con sé il rovescio della medaglia di un livello della complessità generale piuttosto ai minimi termini, mentre nelle occasioni di dialogo la forte direzione artistica prevale anche sopra i limiti tecnici, mantenendo in generale comunque un insieme senz’altro gradevole.