Paranormasight: The Seven Mysteries of Honjo: la recensione

Orrore fa rima con folklore, soprattutto in Giappone: percorri le vie della città a caccia di superstizioni fin troppo mortali!

Le dinamiche del titolo, infatti, sono tanto ridotte all’osso quanto non immediatamente decifrabili, per una produzione che si approccia al genere della visual novel in maniera originale e non scontata: lungo il corso dell’avventura vi troverete a impersonare personaggi differenti, ciascuno invischiato suo malgrado o, al contrario, di propria sponte in un intricato groviglio di superstizioni tradizionali della regione, alla ricerca di conoscenza, vendetta, ricchezza e potere o, più semplicemente, sopravvivenza. Seguendo un filo logico ma al contempo molto aperto, potrete fare diverse scelte per avvicinarvi ora a uno dei misteri appartenenti alla schiera dei 7 principali che danno il nome al gioco stesso, ora a un altro di questi angoscianti e sovrannaturali segreti, muovendovi lungo un’accurata mappa di quest’area dell’antica Tokyo del secolo scorso. Una volta raggiunto uno dei luoghi al centro di uno di questi racconti mistici, dovrete iniziare a muovere il vostro sguardo attorno, alla ricerca di indizi e dettagli, interagendo spesso con diversi NPC, uno più angosciante dell’altro. Entrando in relazione con essi, vi si apriranno diverse scelte di dialogo, tramite le quali proseguire a scavare nell’animo e nelle intenzioni del vostro dirimpettaio, continuando ad alternare questa visuale semi-statica con altri menu di riflessione e lettura delle vostre memorie: ogni scoperta, infatti, verrà annotata nei vostri file e dovrete continuamente rivedere i vostri “appunti”, per riuscire ad attivare ulteriori percorsi di dialogo, tramite i quali trovare la soluzione necessarie per uscire da quelli che, in pratica, saranno stalli alla messicana dove ciascun personaggio anziché una pistola, avrà i proprio segreti come arma. O, nel peggiore dei casi, particolarmente durante le scorribande notturne, le pietre maledette: sì perché ogni leggenda è legata a un feticcio, materializzazione concreta dell’essenza di uno specifico tra i sette oscuri segreti che infestano queste strade, in grado di offrire al suo portatore il potere di eliminare con la sola intenzione di spirito qualunque essere umano che, consapevolmente o meno, attivi suo malgrado condizioni simili a quelle che diedero origine alla maledizione stessa. La tensione durante questi scambi continui di battute e dialoghi è davvero altissima, anche perché sarà quasi impossibile non incappare in morti improvvise, capaci di lasciarvi letteralmente senza parole e senza fiato. Salvo poi rigettarvi nella mischia, a volte per ritentare la fortuna, o rimettere alla prova le vostre capacità deduttive; altre volte, semplicemente, riprendendo a scavare negli angoli più oscuri dell’intricata vicenda, nei panni di un altro attore e rivivendo il macro arco narrativo sotto la lente di un altro dei tanti punti di interconnessione di questa ampia e indistricabile rete di relazioni.

Il versante tecnico dell’opera è fortemente basato e dipendente dal suo approccio estetico e stilistico, come lecito aspettarsi da una visual novel sostanzialmente 2D, fatta di illustrazioni e disegni statici, animati dalla giustapposizione di diversi quadri dello stesso soggetto (in una sorta di stop-motion bidimensionale). E questo aspetto è davvero curato finemente, con una direzione artistica di altissimo livello e una cura maniacale per il dettaglio: senza entrare troppo in ambito spoiler, sappiate solo che l’atmosfera che il gioco riesce a comunicare è a tratti davvero disturbante, anche solo tramite le splendide rappresentazioni dei diversi stati d’animo e di salute dei tanti personaggi presenti lungo il racconto, piuttosto che tramite un uso sapiente dei vari mezzi a disposizione del team di programmazione. Il titolo, infatti, fa buon uso dei movimenti di camera, denotando un certo talento per la regia, ma anche del comparto audio, sia per quel che concerne la colonna sonora, ma soprattutto per rumori ed effetti ambientali, davvero studiati in maniera organica e coerente con il ritmo di gioco, il contesto e, soprattutto, le emozioni che l’opera è atta a suscitare nel fruitore. Il tutto senza dimenticare anche l’implementazione dell’effetto vibrazione, utilizzando per sottolineare repentini accadimenti assimilabili alla versione videoludica del cinematografico “jump scare“, tanto da spingere alcuni di voi a disattivarlo dal menu, ne sono certo. L’altro aspetto che va evidenziato, inoltre, è l’ottima implementazione dei controlli tramite touch, sempre attivi e accessibili, senza dover navigare tra le diverse opzioni a vostra disposizione nell’apposita sezione del gioco: in pratica la gestione della telecamera e/o del cursore (l’una necessaria per variare la visuale sulla scena dell’ambientazione in cui vi trovate, l’altro utilizzato invece per interagire con dettagli ambientali appunto interattivi) può essere gestita tramite un doppio sistema di leve analogiche oppure, a proprio piacimento e in qualsiasi momento, anche tramite il touch screen della console: trascinando due dita su di esso sarà infatti possibile muovere il nostro punto di vista, mentre per evidenziare un elemento contestuale vi basterà toccarlo. Ammettiamo che la navigazione della telecamera tramite doppio tocco non è sempre perfetta, mentre al contrario è super apprezzata la possibilità di interagire con tocco singolo con i diversi oggetti o NPC a schermo. Nel complesso, il gioco è tanto semplice quanto ben confezionato, sotto il profilo tanto artistico quanto tecnico.

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La recensione

7.5 Il voto

Quando un gioco è così fuori dagli schemi da sorprenderti a ogni azione fatta o a ogni scelta compiuta, significa che gli sviluppatori hanno fatto davvero un ottimo lavoro: forse non perfetto, risultando a tratti fin troppo ermetico e, conseguentemente, poco fluido nella fruizione da parte del giocatore, senza però mai sfociare nella palude pericolosa della frustrazione. Un esperimento, forse, ma con molti dei crismi necessari per essere promosso a voti più che pieni, in un panorama fin troppo spesso uniformato verso una spinta omologazione di generi e di stili.

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