Dal punto di vista strutturale, il gioco è molto classico, ma estremamente rifinito, nonché capace di introdurre piccole ma sostanziali novità, pur non rivoluzionando affatto la natura del brand né rinnegando in alcun modo le sue origini piuttosto classiche. Anzi: sotto certi aspetti Engage è persino un “ritorno alle origini”, più vicino ai titoli pre-boom di quanto non sia stato Three Houses, ma al contempo capace di rinfrescare il tutto con diverse trovate. Rispetto al Monastero e, più in generale, al precedente capitolo sono state rese molto meno preponderanti ed invasive le dinamiche “sociali” di interazione forzata tra i vari membri del cast; niente più lezioni, niente più materie da studiare e via discorrendo, per la gioia di chi aveva trovato l’aspetto “gestionale” o “manageriale” fin troppo pesante solo pochi anni fa. Non fraintendete: esiste comunque un quartier generale, per altro con diverse attività da svolgere al suo interno, sia in termini di dialogo che di mini game, fortemente legato al miglioramento delle statistiche di affinità tra i personaggi, ma anche ad esempio alla personalizzazione estetica e ludica dei vostri eroi. Semplicemente, il punto di equilibrio pende molto più a favore delle fasi di preparazione al combattimento e di lotta vera e propria, piuttosto che forzare la mano del giocatore verso aspetti meno legati al progredire del canovaccio o alla natura bellica tipica dei giochi della serie. In seconda battuta, sono state introdotte (piccole e piuttosto limitate) fasi di esplorazione anche al di fuori della base, sostanzialmente in zone legate alle varie mappe di combattimento: terminato uno scontro sarà infatti possibile muovere il proprio personaggio in questi ambienti tridimensionali per parlare con altri guerrieri, raccogliere materiali sparsi nell’area, attivare sporadicamente missioni secondarie o adottare cuccioli vari (sì, avete letto bene: cani, gatti, pecore e altre bestie a quel punto vi seguiranno nel Somniel, l’isola volante che serve da quartier generale, e potrete prendervene cura durante le fasi più rilassanti sopra descritte). Il tutto arricchito anche da una mappa di overworld bidimensionale, attraverso la quale muoversi liberamente tra le diverse regione sbloccate durante il filone principale della storia, per tornare a visitarle o seguirne le missioni secondarie. Una volta poi scesi sul terreno di battaglia, Fire Emblem Engage dà il meglio di sé. E, forse, il meglio che la saga abbia mai presentato. La giocabilità fondante è quella classica, con alternanza di turni tra party alleato e avversario, con movimento limitati e diversificati a seconda delle classi per ciascuno dei nostri guerrieri, e una relazione di vantaggi e/o svantaggi tra le varie tipologie di armate e di soldati schierati (principalmente seguendo il trittico classico di spada-ascia-lancia). Ritroverete le classiche debolezze delle unità volanti, davanti alle implacabili frecce degli arcieri; il vantaggio strategico degli incantesimi, per penetrare le armature più resistenti delle unità corazzate e così via. Ma sullo scheletro di base, Intelligent System ha inserito tantissime novità, in alcuni casi mutuando le soluzioni migliori da diversi titoli del passato, arricchendone il gameplay in maniera sproporzionata. Questa volontà di guardare al passato si esprime ovviamente anche a livello narrativo e promozionale, con i 12 Emblemi racchiusi in altrettanti anelli, a incarnare i protagonisti più amati della saga ripercorrendo anche alcune delle mappe più iconiche dei 12 episodi precedenti, ma si traduce anche in tantissimi piccoli ma preziosi elementi di gioco, per altro impreziositi ulteriormente anche da trovate invece inedite e più moderne. Ironicamente, ma non troppo, proprio legate ad esempio all’enorme potenziale di personalizzazione di statistiche e abilità di combattimento che proprio questi anelli magici consentono di affibbiare ai vari componenti del vostro party, per un processo continuo di scoperta che difficilmente vi farà staccare dal titolo per diverse ore di fila. Il tutto senza poi contare il sublime lavoro di fino svolto per rendere più interessanti le unità curatrici, in grado ora anche di effettuare una difesa dinamica, proteggendo i proprio compagni attigui durante un attacco subito; o quello dedicato ad alcune unità di incursione, in grado ora di effettuare attacchi combinati, qualora siano a tiro nel raggio di competenza di un alleato; o ancora l’effetto breccia, che a partire dalla tradizoinale struttura a morra cinese delle armi di base sopracitate, inserisce un ulteriore effetto di danno all’anello debole della relazione, impedendogli di contrattaccare. E se è vero che i “super poteri” degli Emblemi correvano il forte rischio di sbilanciare il livello di difficoltà del gioco, è altrettanto vero che essi sono molto vari e diversificati, estremamente appaganti, ma assolutamente da dosare con parsimonia e, soprattutto, da pianificare con raciozinio: il loro utilizzo smodato, infatti, è precluso sia dalla barra di ricarica degli stessi, che dal posizionamento delle fonti energetiche necessarie a ricaricarli in maniera rapida in punti pericolosi delle mappe, ma anche dal fatto che spesso e volentieri, se vi farete forzare la mano dal loro uso, spinti dall’entusiasmo, finirete per mettere il possessore dell’anello in situazioni di potenziale pericolo. Insomma: dal punto di vista della ricchezza, della varietà, della profondità di gioco, Fire Emblem Engage è senza dubbio il prodotto più riuscito della serie, confermando per altro un ottimo bilanciamento (grazie anche alle diverse opzioni fornite) e un ottimo design delle mappe di lotta, lungo tutto l’arco narrativo.
Se c’è un aspetto in cui Engage primeggia rispetto al precedente capitolo è senza dubbio quello tecnico. Valori strettamente oggettivi come la risoluzione, capace di offrire una pulizia di immagine nettamente migliorata nei confronti dell’episodio del 2019; il frame rate, più stabile e solido, per un’esperienza priva di rallentamenti nelle diverse fasi di gioco; il polycount, con grande cura riservata soprattutto ai modelli dei tantissimi personaggi a schermo, ma con un’inedita attenzione anche agli ambienti di gioco, sia in fase di battaglia che nelle inedite occasioni esplorative; svariati effetti di modernità rispetto a Three Houses, come gli effetti particellari, quelli di superficie, il sistema di illuminazione e traslucenze; ma ancora i dettagli legati ad esempio all’interattività dei fondali durante gli scontri, con staccionate pronte a distruggersi per i colpi subiti dai danni di contatto con personaggi, cavalli o altri corpi contundenti, piuttosto che il maggior dinamismo delle scene di lotta nelle mappe, con dislivelli percepiti in tempo reale e come tali rappresentati a schermo (torri artificiali piuttosto che altopiani naturali) che oltre a influenzare l’esito dei colpi restituiscono anche un maggior senso di immersione visiva…Insomma, il balzo è piuttosto netto e conferma ancora una volta quanto sia importante garantire la longevità necessaria all’hardware di riferimento, per consentire ai team first e second party di proporre al pubblico prodotti software di “seconda generazione”, nell’arco di vita di una console. Più soggettivo il giudizio invece sul versante sonoro e su quello estetico, poiché permeati ovviamente da valutazioni di gusto, sempre legate a doppio filo con le valutazione del comparto artistico. Una cosa è certa però: il design ha una sua identità precisa e ben delineata, coerente e variegata, curata sia sotto il profilo musicale che per quanto concerne la direzione artistica riservata al colpo d’occhio. Gli amanti delle produzioni giapponesi più contemporanee troveranno di proprio gradimento un pacchetto particolareggiato fin nei minimi dettagli, mentre coloro che restano ancora oggi nostalgici di un approccio estetico meno frivolo e più serioso come quello visto (ormai davvero parecchio tempo addietro) nei capitoli per GameCube o Wii potranno storcere il naso. Forse in questa dicotomia il pregio maggiore di Three Houses era stato proprio quello di trovare un equilibrio in tal senso, ma anche sfogliando l’artbook inserito nell’edizione limitata Divine Edition risulta difficile non ammirare l’impegno e la qualità profuse dal team anche in Engage. Insomma, al di là del gusto individuale, il progetto tocca vette piuttosto alte, in termini di valori di produzione, forse come mai visto prima in un capitolo di Fire Emblem. E non fatevi ingannare dalla presenza del Season Pass: anche sotto il punto di vista della longevità quest’ultimo capitolo saprà intrattenervi a lungo, anche se forse meno di quanto il precedente episodio non richiedesse per compiere tutte e tre (quattro, in realtà) le avventure, esaminando gli eventi ogni volta da un punto di vista differente. L’enorme vantaggio di Engage è però quello di poter esperire tutto quello che l’arco narrativo ha da offrire in un’unica soluzione, aspettando ovviamente personaggi, missioni e soprattutto parti inedite dell’avventura in arrivo nel corso di tutto il 2023.
La recensione
Un tono fin troppo scanzonato e una trama piuttosto sottile fanno da contraltare invece alla giocabilità più ricca, variegata, profonda e soddisfacente che la serie abbia mai offerto, sia in tempi moderni che guardando al passato. Uno sguardo impreziosito dai diversi Emblemi qui riproposti, per un episodio che fa della giocabilità e dell'arricchimento del versante tecnico e strutturale i suoi punti di forza.