Nel panorama indipendente ci sono evidenti trend, gettati principalmente dalla demografica tanto degli sviluppatori, quanto dei principali fruitori delle loro fatiche. Se, infatti, la relativa semplicità nella riduzione dei costi spinge verso soluzioni grafiche bidimensionali, tra 16-bit e pixel grafica, piuttosto che su grandi opere tridimensionali falsamente ambiziose e indubbiamente onerose dal punto di vista dei budget, dall’altro lato dobbiamo constatare una vera e propria passione nostalgia per il revival di certi crismi stilistici e strutturali rispetto alle produzioni degli albori del medium, in voga presso i programmatori quanto presso i consumatori. E non è un caso che questa pletora di rivisitazioni del glorioso passato abbia trovato terreno così fertile proprio sulla console ibrida della casa di Kyoto: sono infatti ufficiali e pubbliche le statistiche rilasciate proprio da Nintendo in merito alla demografica di possessori di Switch, che vede un’altissima concentrazione nella fascia dei “kidult” o dei “giovani adulti”, cioè coloro che sono cresciuti nella loro giovinezza con le produzioni SEGA Master System o Super Nintendo e che oggi si ritrovano ad avere, nella propria vita adulta, un potete di acquisto prima non accessibile e, al contempo, meno tempo libero da dedicare alle proprie attività di svago. Con la conseguenza di ricercare con nostalgia “le cose belle del passato”, tra cui appunto le atmosfere dei giochi di una volta.
Vengeful Guardian: Moonrider rientra in pieno in questo particolare filone concettuale, sotto tutti i punti di vista. A livello strutturale, è un action platform che dichiaratamente ricorda l’età d’oro dell’epoca 16-bit, unendo quindi sia gli stilemi artistici che quelli ludici dei frenetici giochi d’azione di una volta, con quel pizzico di esplicita violenza mascherata dalla poco definita resa grafica, impreziosita dal classico canovaccio di una profonda ingiustizia vendicata lungo la strada di una redenzione priva di pietà. In esso, infatti, si possono ritrovare un senso di sfida sempre presente, sin dalle prime battute di gioco; una precisione millimetrica richiesta al giocatore tanto nei salti quando nell’esecuzione delle mosse di attacco e difesa, con un sistema di combattimento frenetico e violento, tanto a schermo quanto nei confronti dei riflessi e della velocità di esecuzione da parte del fruitore. Sfidante ma onesto, grazie a un sistema di controllo responsivo e rapido nel fornire il corretto feedback e senso di controllo del proprio avatar. Un avatar che si muove in una ambientazione desolata, a tratti cyberpunk, ma con una direzione artistica chiaramente permeata dei valori di ferro, sangue e bulloni della fine degli anni ’90, tra ninha e robot in equal misura. Il tutto condito da un comparto audio altrettanto arrugginito, nel chiaro e volontario intento di fornire quella sensazione di punk estremo tanto cara ai film grunge dei vecchi tempi. Insomma, gli ingredienti ci sono tutti.
A partire dalla storia: l’umanità intera è soggiogata da un contesto autoritario opprimente, nel quale il più improbabile dei protagonisti assurge a ruolo di eroe. Le forze oscure dei potenti dominano grazie a super soldati figli di malsani esperimenti che li hanno tramutati in vere e proprio armi di distruzione di massa, ma gli stessi creatori di queste pericolosissime entità hanno firmato la loro stessa condanna, attivando il guerriero conosciuto come Moonrider. Pensato come strumento per alzare ulteriormente l’asticella del loro dominio sull’intero pianeta, il soggetto rifiuta il protocollo con cui è stato concepito, scegliendo una strada di vendetta priva di pietà nei confronti dei suoi stessi creatori e dei loro super soldati. In questa cornice cyberpunk, fatta di sangue e ruggine, le principali caratteristiche che definiscono il prodotto sono l’esperienza del team responsabile di produzioni retro come Oniken o Blazing Chrome, capaci di garantire un feeling molto vicino alle opere di una volta; una colonna sonora fortemente ispirata dalla atmosfere della narrazione e dell’avventura, contribuendo a un pacchetto finale coerente e ben realizzato; una durata breve, in linea con la tradizione del genere (un paio d’ore per raggiungere i crediti), sorretta però sia da un livello di sfida davvero molto (forse persino troppo) elevato, sia da una continua ricerca di miglioramento di risultati ed obiettivi, favorendo la rigiocabilità e le speedrun, in modo da incrementare di volta in volta i punteggi, grazie a una graduale conoscenza sempre più approfondita di nemici e ostacoli sparsi per i livelli, a ogni tentativo. Anche grazie alla raccolta di particolari chip in grado di potenziare l’armatura e l’equipaggiamento del vostro eroe!
Il versante tecnico e visivo è volontariamente retro, e riesce appieno nel suo intento: mettervi tra le mani un nuovo episodio dei fantastici action game del SEGA Master System, con quel tocco di modernità in più (fatto soprattutto di tempi di caricamento rapidi e una più che discreta fluidità dell’esperienza di gioco). La grafica 16-bit è mutuata direttamente dall’epoca passata dei gloriosi anni ’90, sorretta in maniera adeguata (cioè con una coerenza stilistica di fondo molto solida) sia dal comparto audio che dalla cornice narrativa, per un’esperienza che, di fatto, ha due grossi difetti: da un lato, se non siete nostalgici di determinate produzioni, vedrete questo titolo semplicemente come una reliquia del passato; dall’altro, anche gli amanti del genere e dei crismi interpretativi qui riproposti in maniera fedele rispetto agli stilemi di una volta, potrebbero scontrarsi con un livello di difficoltà davvero molto alto. Difetti, lo ammettiamo, che da una parte fanno parte della natura stessa del progetto, ma dall’altra (uniti a una longevità non eccelsa e a una ripetitività di fondo data dall’impostazione puramente action e priva di elementi esplorativi) potrebbero ridurre di molto la platea di potenziali fruitori.
La recensione
Vengeful Guardian: Moonrider è davvero un titolo uscito dai fasti del SEGA Mega System, con tutti i pregi e i difetti del caso. La struttura estremamente semplicistica unita a un livello di difficoltà invece assai elevato potrebbero scoraggiare i più, mentre per gli appassionati sarà un piacere potersi immergere in queste nostalgiche atmosfere