Un semplice videogioco che non è esattamente la definizione corretta per identificare le dinamiche di dialogo anche extra-diegetico tra il codice di programmazione e il fruitore, ma che quantomeno per la lunga fase iniziale può essere riassunto come un card game, dove sarà importante prendere decisioni anche difficili nella gestione del proprio deck, al fine di sconfiggere l’avversario e poter proseguire lungo il cammino. Il nostro dirimpettaio, infatti, ci guiderà lungo una narrazione fatta di diversi punti di interazione sulla mappa: a ogni piè sospinto potremmo trovarci costretti a selezionare un bivio, variare la manipolazione di alcune carte per ottenerne altre, oppure più direttamente scontrarci in un turno al tavolo da gioco. In queste fasi (quelle ludicamente più tradizionali, per certi aspetti) potremo pescare alcune figure, decidere quali posare sull’arena, per attaccare il nemico o difendere i nostri stessi “punti vita”; non tutte le carte, ovviamente, saranno però uguali e dovremo valutare con attenzione come gestire le poche risorse a nostra disposizione di volta in volta. Principalmente, ogni card rappresenta un animale selvatico, con valori di attacco o punti energia, da posizionare sul tabellone, così da evitare di poter essere attaccati direttamente dalle offese altrui, pena la perdita di punti vita (rappresentati dai piatti di una bilancia a lato del tavolo: al raggiungimento di un certo numero di danno subito, l’equilibrio finirà per essere totalmente a nostro svantaggio, causando il game over, o a svantaggio del nostro dirimpettaio, regalandoci la vittoria del turno e consentendoci di continuare il nostro cammino). Qualora ad essere libero fosse invece il canale che consente ai nostri animali di sferrare i propri attacchi direttamente contro l’altro giocatore, ecco che saremo noi ad ottenere il vantaggio competitivo. Gli esseri più forti, però, per poter essere utilizzati necessitano il sacrificio di una o più delle altre creature del nostro mazzo, il cui scopo è spesso solo ed esclusivamente quello di essere posati sull’altare della sostituzione, causandone il decesso immediatamente dopo averli posati sul tavolo di gioco. Senza contare quelli, come il gatto, che grazie alla loro proverbiale capacità di sopravvivenza, non finiranno scartati dal mazzo nemmeno dopo essere stati sacrificati per uno scopo più grande (cioè per un animale più potente). Il loop di base di questa fase card game è accattivante, tanto di risultare soddisfacente e curioso sin dalle prime battute, anche per i risvolti macabri che lascia intuire tra le pieghe del mazzo. Una deriva inquietante che, mano a mano che sarete in grado di proseguire nel gioco, diverrà sempre più esplicita, ma soprattutto sempre più astratta dal tavolo da gioco e sempre più indirizzata verso la rottura della famosa quarta parete, quella che (teoricamente) separa il mondo finzionale dal fruitore reale che su di essa si affaccia.
Il versante tecnico di Inscryption non è importante, e lo diciamo con cognizione di causa. Il titolo ha un approccio visivo semplice, sotto il profilo della programmazione, con effetti di disturbo dell’immagine chiaramente voluti e, altrimenti, un comparto fortemente sorretto da una decisa direzione artistica. Le ombre e il buio che caratterizzano gran parte delle situazioni sono ricreati con sapienza stilistica, per enfatizzare l’atmosfera lugubre ed inquietante dell’opera, così come finemente curati sotto questo aspetto risultano anche tutti i dialoghi e le descrizioni testuali presenti all’interno del gioco. Anche il versante sonoro è prevalentemente declinato nell’ottica visionaria che Mullins aveva (chiaramente) in mente, in fase di sviluppo, per cui un po’ tutto (risoluzione, fluidità, comparto texture, mole poligonale…) sono difficilmente giudicabili da un punto di vista meramente tecnico, essendo piegati fin nel midollo a un approccio definitivamente artistico. Ciò non significa che il gioco non sia valutabile, ma che la sensazione predominante è quella di un giudizio fortemente influenzato dall’abilità del programmatore di fornire un unicum, estremamente coerente al di là della qualità e della somma delle singole parti, prese ed esaminate separatamente. Insomma, anche sotto questo versante Inscryption si delinea più come un’esperienza, che come un videogioco inteso nel più classico dei termini. E questo, nel momento in cui l’esperimento riesce grazie all’amalgama sapiente delle componenti che costituiscono l’insieme, è sempre un gran risultato.
La recensione
Lucida follia o sapiente visione artistica? Entrambe si amalgamano alla perfezione in questa opera particolare, dove niente è quel che sembra e i colpi di scena sono dietro a ogni carta.