Cobra Kai 2: Dojos Rising: la recensione

Strike First, Strike Hard, No Mercy.

Ricordo con affetto la sera in cui ho visto il primo episodio di Cobra Kai: un’immersione in un mondo che non esiste più. Per chi, come me, è cresciuto negli anni ’90, gli action movies del decennio precedente sono stati una lezione di vita, indelebile come il fatto che i mitocondri sono la centrale energetica delle cellule. Nel panorama caotico e scalcagnato che Hollywood ci ha proposto per anni, Karate Kid ha sempre avuto un posto speciale. Ragazzini che rischiano la vita per amore, imparano il karate per difendersi dai bulli e diventano campioni di un torneo locale (la cosa più importante sulla faccia della Terra, nella Valley); litigi e riappacificazioni coi propri maestri; veterani del Vietnam che hanno come unico obiettivo vincere il suddetto torneo locale; pazzi omicidi pronti ad uccidersi ad ogni passo, e chi più ne ha, più ne metta? Oh, sì, non chiediamo altro.

Karate Kid è una storia di personaggi, personaggi che abbiamo amato e odiato, personaggi complessi nella loro semplicità. Personaggi come Johnny Lawrence, il campione predestinato, che non riesce a diventarlo: sulla sua strada incrocia Daniel LaRusso, e tutto va in fumo. Decenni dopo, Johnny non dimentica. La sua vita è uno sfacelo, tra ex mogli, figli rancorosi e un futuro non propriamente roseo. Cosa fa allora il buon Johnny? Torna a combattere, non molla, al ritmo delle canzoni hard rock e metal di un’epoca che non esiste più. Parte male, come sempre, si fida delle persone sbagliate, come sempre, prende calci da tutte le parti, come sempre. Ma finalmente capisce cosa conta davvero nella vita, capisce che è ora di guardare al presente e smettere di vivere nel passato. Rinasce, Johnny Lawrence, diventa finalmente quello che è sempre stato. Lacrimuccia di chi scrive.

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Ma non stiamo recensendo la serie di Cobra Kai, stiamo recensendo il secondo capitolo della saga videoludica, iniziata nel 2020 con Cobra Kai: The Karate Kid Saga Continues. E allora, concentrati, Daniel-San. Sviluppato da Flux Games e distribuito da GameMill Entertainment, il primo capitolo introduce una formula narrativa che troveremo anche nel suo successore: sta a noi decidere a quale dojo votare i nostri pugni, se vivere nell’equilibrio del Miyagi-Do o colpire per primi, senza pietà, come allievi del Cobra Kai. Una buona dose di pestaggi dopo, concluse entrambe le storyline e affrontato il finale segreto, avremo concluso un gioco che rispolvera una dinamica tipicamente eighties (coherence check), senza particolari colpi segreti dal punto di vista delle dinamiche videoludiche (nessun calcio della gru a salvare la baracca) e con più di una incertezza dal punto di vista dello sviluppo. Un gioco tutto sommato godibile per i fan della serie o dei picchiaduro a scorrimento, che purtroppo ricade nella categoria “bravo, ma non si applica”.

Arriviamo così a Novembre 2022, e Cobra Kai 2: Dojos Rising arriva sugli scaffali e illumina lo schermo della nostra consolle preferita. Il gioco ha l’ambizione di ingrandire e potenziare quanto presentato nel primo capitolo, sia dal punto di vista narrativo che dal punto di vista delle dinamiche di gioco. E così, mentre il pugno del Cobra Kai ruota in un angolo dello schermo, segnalandoci il primo caricamento di questa nuova avventura, ci chiediamo se gli sviluppatori di Flux Games avranno messo e tolto abbastanza cera in questi due anni da superare le loro incertezze ed essere pronti a scendere sul tatami dell’All Valley Tournament.

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