Electronic Arts ormai è una casa di sviluppo sinonimo di reiterazione annuale di franchise sportivi molto affermati sotto il profilo delle licenze ufficiali e dei riscontri commerciali di massa, accompagnati da titoli di guerra (realistica e verosimile, piuttosto che fantasiosa, magari sempre a licenza), avendo ridotto all’osso la sperimentazione di grandi progetti multimilionari dedicati a generi e IP che esulino dal seminato. L’effetto principale di questo pivoting aziendale operato ormai diversi anni fa, a cavallo tra la prima e la seconda generazione di hardware in HD per ottimizzare gli investimenti, è stato quello di massimizzare i profitti. Non tutto, però, in EA si è ridotto all’osso sotto il puro versante della creatività, avendo infatti nel frattempo ideato l’etichetta di pubblicazione denominata EA Originals: un’area aziendale dedita al sostegno di produzioni indipendenti, provenienti da alcuni dei migliori team del panorama mondiale, in grado di offrire esperienze di gioco uniche e memorabili. Soprattutto, caratterizzate da un elevato grado di creatività, freschezza e, come dice il nome stesso dell’iniziativa: originalità. Un particolare tipo di collaborazione industriale che, nel corso degli anni (l’etichetta è attiva dal 2017) ha saputo sfornare produzioni davvero di rilievo, come nel caso di Unravel (1 e 2), Fe, Sea of Solitude, Lost in Random (tutti arrivati anche su Nintendo Switch) e, ultimo ma non meno importante, It Takes Two. It Takes Two è un progetto molto particolare: come il gioco di debutto dello studio Hazelight (A Way Out) non presenta alcuna modalità di gioco in single player, ed è affrontabile soltanto in cooperativa con un amico. Nonostante o proprio grazie a questa caratteristica del tutto inusuale, ha attirato a sé l’attenzione di diversi critici e il plauso del pubblico di acquirenti e giocatori: nel periodo di lancio originale su altre piattaforme, infatti, ha saputo raccogliere svariati premi, tra i quali Gioco dell’Anno ai The Game Awards 2021 e al 25° Annual Awards D.I.C.E. per poi riscuotere un grande successo commerciale, vendendo oltre 7 milioni di copie in tutto il mondo, ancor prima della sua uscita sulla console ibrida della casa di Kyoto. Uscita forse tardiva, capace però di far risuonare lo stesso il campanello dell’interesse presso l’enorme base installata di Switch giusto in tempo per questo Natale 2022. Dopo un certosino lavoro di trasposizione, infatti, il team è finalmente riuscito a programmare anche la versione che ci troviamo qui ad analizzare con la nostra recensione, curiosi di mettere le mani su questo progetto così bizzarro, intrigante ed originale.
Uno degli aspetti più intriganti del prodotto è che lega in maniera stupefacente la decisione di game design legata all’obbligo di fruire il gioco tramite multiplayer alla cornice narrativa dell’opera stessa. L’incipit infatti è quello di due personaggi (Cody e May) che hanno raggiunto un punto di rottura nella loro relazione. Stressati dagli impegni lavorativi e dalla pressione di dover crescere una piccola bambina di nome Rose, hanno deciso di separarsi. Dopo aver ricevuto la notizia dai suoi genitori, la bambina ne resta devastata, iniziando a sperare che i suoi genitori possano tornare assieme, mentre le lacrime bagnano le sue due bambole preferite. In quel momento, i due adulti vengono trasportati all’interno dei pupazzi e iniziano la loro emozionante (ed emotiva) avventura, per riunirsi all’adorata figliola. Per riuscire a farcela, dovranno riscoprire come collaborare, ritrovando quell’intesa che li aveva resi una coppia felice, sin dal primo momento della loro relazione. Nel corso di questa epopea fantastica, ma estremamente familiare, si ritroveranno in una casa immaginifica, dove un vecchio libro farà loro da assistente matrimoniale, guidandoli verso il ritrovamento della propria autostima di coppia, ma anche individuale, potendo contare l’uno sulle specifiche competenze, abilità e caratteristiche dell’altro. Insomma, il titolo è una sorta di romanzo di formazione, ma non a livello individuale quanto a livello di relazioni interpersonali, con un focus narrativo forte sul concetto di collaborazione familiare, rispecchiato in termini extra diegetici dell’impossibilità di fruire della produzione pubblicata da EA da soli. Un bel rimando tra l’universo finzionale e quello reale, con una quarta parete continuamente sollecitata ben al di là della semplice interazione videoludica tradizionale.
Sotto il versante puramente ludico, quindi, la produzione esaminata si pone come un titolo esclusivamente cooperativo: It Takes Two necessita di essere giocato da due persone che collaborano lungo tutta l’avventura. Per molti dei puzzle e delle sfide presenti nel gioco sarà fondamentale riuscire ad instaurare un vero e proprio dialogo, visto quanto la comunicazione risulti fondamentale per superare gli ostacoli pensati dagli sviluppatori, e grande è il senso sia di soddisfazione che di divertimento nel momento in cui il team riuscirà a raggiungere l’obiettivo, proprio grazie alla collaborazione. Questo particolare modus operandi può essere realizzato tramite connessione online, sfruttando laddove possibile la chat vocale per coordinare al meglio le azioni dei due avatar a schermo. Ovviamente questo su Switch non è poi così semplice, ma per fortuna proprio su questa console sono state aggiunte interessanti possibilità per espandere le opzioni di fruizione. Oltre alla simpatica possibilità di invitare un amico online a provare gratuitamente il gioco qualora voi siate in possesso della versione completa, sarà soprattutto possibile giocare in locale, ciascuno con la propria coppia di JoyCon, oppure (possibilità esclusiva di questa versione) anche utilizzare due Switch giocando ognuno sul proprio schermo. Ovvio che in queste condizioni il titolo raggiunge l’apice della sua giocabilità, tramite una fruizione condivisa dove It Takes Two sprigiona tutto il suo potenziale. L’impostazione generale è quella di una sorta di platform tridimensionale, fortemente incentrato tanto sull’esplorazione di ambienti sviluppati sia in orizzontale che dotati di un discreto senso di verticalità, all’interno dei quali l’elemento chiave sarà la risoluzione di continui puzzle ambientali, da superare spesso necessariamente in collaborazione con il partner: vuoi perché occorre spingere un pesante blocco, vuoi perché sarà necessario tenere una leva mentre il compagno attraversa il passaggio, le situazioni sono continue e variegate. Divertente come i contesti ci mettano davanti sia a un elevato numero di azioni da compiere contemporaneamente, quanto a continue separazioni dei percorsi dell’uno o dell’altro avatar, che tramite strade diverse e interazioni ambientali individuali, potranno però superare blocchi e ostacoli reciproci, sempre e soltanto collaborando. Giocando in locale sulla stessa console, lo schermo verrà diviso in due tramite split screen, nei momenti i cui i percorsi si differenziano, per poi tornare anche a schermo condiviso, nei momenti in cui la zona andrà invece affrontata assieme eseguendo le stesse manovre, magari per combattere contro un boss di livello. Sì, perché di base It Takes Two saprà anche conservare tanti dei crismi propri dei generi cui appartiene e si ispira, anche se sempre interpretandoli attraverso questa chiave multiplayer cooperativa.