In particolare, questo titolo soffre di alcuni problemi connessi al concetto stesso di narrative design applicato a un mezzo interattivo come quello del videogioco, restando ancorato a dinamiche di narrazione classiche e tradizionali, legate al concetto di autorialità che poco si sposano con l’intrattenimento di questo mezzo sì di comunicazione, ma anche di gioco ed espressione dell’utente. Troppo spesso tra le scelte di opzioni di dialogo vengono offerte possibilità riassunte in modo poco adeso all’attuale scambio di battute che dalla nostra scelta prenderà corpo, indirizzando evidentemente il flusso narrativo comunque verso l’indirizzo voluto dal game designer. Ancora più fastidioso risulta poi il fatto che troppo spesso la scelta di una opzione piuttosto che un’altra tra quelle proposte sembra non avere alcun impatto o differenziazione rispetto alle altre: ecco così che viene a mancare il presupposto di ”ingaggio” verso il fruitore, perché non solo sia ha la sensazione che le nostre decisioni non abbiamo la possibilità di tradursi in maniera propria all’interno dell’universo diegetico, manipolate dalla struttura soggiacente costituita dalla programmazione del team di sviluppo, ma addirittura che in fondo non sia nemmeno necessario optare per una strada piuttosto che un’altra, finendo quasi per premere i tasti solo per far avanzare il dialogo e scoprire come si dipani il canovaccio, già deciso per noi da altri. In pratica, sarete spinti a fare delle scelte solo per portare avanti l’illusionistica sensazione di essere immedesimati con il vostro personaggio, ma la sospensione dell’incredulità sarà messa a dura prova un po’ troppo spesso, considerando anche le fasi teoricamente investigative: muovendoci negli ambienti potremo analizzare diversi ogetti, rivivendo anche momenti passati attraverso l’ipnosi, e interagendo con elementi ambientali arrivare a ricostruire eventi e situazioni. Peccato però che queste fasi non abbiano un vero e proprio approccio esplorativo o un processo deduttivo, visto che in pratica sarà possiile completarle con successo semplicemente cliccando tutti i punti cliccabili, privando l’utente di un reale senso di personalizzazione e sfida.
Anche a livello tecnico la produzione presenta un comparto altalenante. In generale, il quadro complessivo mette in scena modelli poligonali, sia per i personaggi che per le ambientazioni, quantomeno discreti. Secondo una direzione stilistica minimalista, fatta di tante sfaccettature e poche rotondità e accompagnata da una palette di colori piatti e accostamenti decisi, il tutto risulta piacevole, anche se non tecnologiamente avanzato o sorprendente. Al contrario, le animazioni convincono davvero poco, tra un senso di legnosità diffuso e, soprattutto, una ricerca esasperata dell’espressività attoriale da parte dei protagonisti: i loro volti, infatti, si muovono in maniera così esagerata da risultare a tratti semplicemente grotteschi, in quella che nella realtà verrebbe definita una attitudine a ”over-acting”. Il risultato è ilare, o sgradevole, a seconda di come la si voglia guardare. Compenetrazioni, collisioni ingenue, un diffuso aliasing intaccano ulteriormente la fruizione complessiva, che viene sorretta invece da un taglio registico più che sufficiente, ma soprattutto da una colonna sonora e da un doppiaggio (inglese) assolutamente di buon livello, tanto da permettere al titolo di risultare senza dubbio più che godibile.
La recensione
Vertigo paga pegno alla pellicola di cui porta (ingannevolmente) il nome, più che offrire ad essa un tributo. Un comparto tecnico altalenante, ma soprattutto alcune ingenuità a livello propriamente ludico appesantiscono la godibilità di un’opera dove canovaccio e OST vi spingeranno comunque a proseguire lungo l’avventura.