La particolarità di questa produzione, rispetto a tante altre ispirate al mondo di Lovecraft, risiede nel fatto che tutto, dall’avatar alla struttura dei livelli, passando ovviamente per gli orribili e mostruosi avversari, è generato a livello procedurale dall’Intelligenza Artificiale programmata dal team di sviluppo, secondo i criteri del machine learning. Questo aspetto ha sempre sia dei lati positivi che negativi, che però nel contesto di questo titolo assumono un significato e valenze diverse dal solito e non necessariamente banali. Il fattore principale di questo approccio automatizzato alla creazione di contenuti è quello di avere, a ogni piè sospinto (o a ogni morte occorsa al nostro avatar) dettagli sempre diversi, che all’interno della cornice narrativa a ludica sopra descritta riescono a offrire un enorme contributo alla fruizione da parte del giocatore. Continuare a cambiare classe di personaggio e, conseguentemente, armi a nostra disposizione amplia notevolmente il ventaglio di varietà nel rapportarci, combattendo, all’universo ostile che ci attende. Ma, soprattutto, la generazione procedurale di ambienti e esseri diabolici aumenta non soltanto il senso di sorpresa, ma in particolare quella sensazione di aliena diversità e incomprensibile organicità che da sempre caratterizzano gli scritti di H.P.L., grazie alla loro progressione descrittiva aptica. L’incapacità da parte dell’umano di discernere i dettagli e i particolari di orrori così indicibili viene espresso in maniera totale dalla soluzione pensata dal team di sviluppo, a cui va senza dubbio l’enorme plauso di aver definito in maniera netta e pienamente riuscita la direzione artistica, lasciando poi alle insondabili viscere della cognizione automatizzata delle macchine il compito di declinare quei crismi in forme e struttura ogni volte differenti e capaci di lasciare al giocatore quel senso di geometrie non euclidee e aliene organicità tipiche del solitario di Providence. La pecca? La mancanza di boss di fine mondo invece pienamente strutturati secondo dinamiche ludiche e di design proprie dei programmatori, peccando in qualche modo di una caratterizzazione unica, senza contare l’enorme difficoltà nel comprendere appieno le forme dei nemici (anche i più casuali), con conseguente aumento della difficoltà di lettura di azioni e interazioni durante le battaglie.
Dal punto di vista tecnico, The Source of Madness resta solido nel voler offrire un’esperienza onirica declinata verso l’incubo, con una direzione artistica di altissimo livello e uno stile grafico e visivo di grande impatto. La pecca derivante dalla creazione procedurale è una certa ripetitività (casualmente a tratti anche piuttosto spiccata) degli ambienti ed esseri mostruosi che li popolano, pur mantenendo una suddivisione piuttosto netta quantomeno tra i diversi biomi presenti nell’arco narrativo dell’avventura. I tempi di caricamento sono buoni, la pulizia dell’immagine valida e la fluidità di gioco sempre piuttosto solida. Il lato negativo è forse quello legato alla concatenazione delle animazioni e alla chiarezza delle “hit box”, sempre piuttosto difficili da decifrare e senza dubbio poco clementi con il giocatore. Il livello di sfida è senza dubbio parte dell’universo diegetico di riferimento, ma la frustrazione derivante da una programmazione approssimativa di alcuni elementi di lettura del mondo di gioco poteva essere effettivamente evitata.
La recensione
Orrore, orrore! I Grandi Antichi sono privi di pietà, ma sarebbe stato meglio studiarne in maniera più raffinata i rappresentati di spicco e le relative dinamiche di interazione ludica, per consentire al fruitore di poter emergere dal calderone di questo inferno con un pizzico di attenzione in più.