I difetti principali del gioco sono poi quelli che per molti amanti del genere potrebbero persino essere dei punti di forza ma che, a conti fatti, tendono ad ancorare un po’ troppo il prodotto nel passato in cui tanto ama affondare le proprie radici. Da un lato, la telecamera fissa è un cliché anche apprezzabile sulla carta, poiché da sempre aiuta a inscenare elementi di elevata tensione dovuti alla contrapposizione autoriale tra campo e fuori campo e, in Tormented Souls, il tutto è persino arricchito da un pizzico di dinamicità in più per trasmettere un senso di modernità e staccarsi dalla staticità dei classici. A conti fatti, però, proprio questa falsa sensazione finisce per sminuire il valore aggiunto che avrebbe la simulazione di “telecamere a circuito chiuso” che un insieme di inquadrature completamente fisse avrebbe fornito e il risultato è anzi quello di confondere l’utente nel controllo del proprio avatar in più di uno stacco di camera (essendo spesso contrapposti assi di movimento diversi del personaggio, rispetto al punto di prospettiva offerto dall’immagine a schermo). Dall’altro, se è vero che ancorare il salvataggio al recupero dei nastri non solo offre tributo alla famosa opera di Capcom e Mikami ma infittisce il senso di claustrofobica sopravvivenza intrinsecamente intesto come un valore in produzioni di questo stampo, dobbiamo però ammettere come al giorno d’oggi questa scelta finisca per inficiare la qualità della fruizione del prodotto. L’aumentato senso di coinvolgimento all’interno delle verosimili dinamiche diegetiche dell’universo finzionale di riferimento ha come contraltare l’impossibilità di sessioni di gioco agili, vuoi in termini di alternanza tra fruizione portatile piuttosto che casalinga, vuoi in termini di alternanza tra questo e altri software. L’horror qui analizzato pretende che gli si dedichi attenzione, che verso di esso venga profusa dedizione e costanza, bypassando tutti i concetti di quality of life the nell’ultimo decennio hanno senza dubbio riammodernato il panorama videoludico mondiale. Chissà, forse sarebbe bastata anche una semplice opzione di salvataggio rapido, per non andare a interrompere la tensione legata alla necessità di sopravvivere, offrendo al contempo maggiori possibilità di gestione al fruitore.
Dal punto di vista grafico e tecnico la produzione qui presa in esame si comporta piuttosto bene, pur non raggiungendo vette di perfezione inarrivabili. Come molti titoli non propriamente dotati del budget e del know-how tipici degli sviluppi delle più grandi case del settore, il gioco propone molti aspetti estremamente curati, alternati alla mancanza di raffinatezza e coesione di altri elementi. Gli ambienti sono ricchi di dettagli: sfruttando anche il fatto che ciascun ambiente di per sé non appare particolarmente ampio, senza contare come molti elementi siano completamente statici, le diverse stanze risultano piene di oggetti, cianfrusaglie, particolari ed elementi in grado di trasmettere un senso di verosimiglianza e “vissuto”. Notevoli poi i tocchi lasciati dagli sviluppatori (a volte in maniera più ingenua e troppo palese, altre volte invece piuttosto finemente) per aumentare il senso di straniamento sottolineando la stortura di sfumature distorte in grado di aumentare notevolmente la tensione per il giocatore. Allo stesso modo anche il comparto sonoro offre a tratti un sapiente utilizzo dei suoni fuori campo per creare questo straniante sottofondo di paura, presente quasi costantemente all’interno dell’opera, particolarmente adeguato alla tematica horror qui assolutamente centrale. La mole poligonale da un lato e gli effetti di luce, superficie e rifrazione risultano discretamente riusciti, anche se non a livelli assoluti, mentre le note più dolenti riguardano le animazioni, i tempi di caricamento e alcuni bug fastidiosi, anche se non strutturali. Le prime, purtroppo, nei momenti più concitati della lotta mostrano un po’ il fianco risultando poco concatenate tra loro, con una fluidità scattosa e poco naturale; i secondi intervengono in maniera evidentemente poco convincente nelle fasi di indagine ravvicinata, quando il titolo deve semplicemente caricare un modello più ravvicinato di alcuni oggetti, per consentirci di analizzarli più nel dettaglio; gli ultimi, pur non inficiando minimamente l’esperienza, tendono a interdire la sospensione d’incredulità, evidenziando il distacco percettivo con falle rappresentative grossolane (inoltrandosi in aree completamente buie senza l’ausilio di una fonte di luce come quella dell’accendino, il gioco mostrerà a schermo una sorta di “rumore nero”, simile al rumore bianco di alcuni apparecchi elettrici d’uso comune). Nell’insieme, comunque, Tormented Souls è un titolo tra i più riusciti su Switch, da parte di piccole terze parti alle prese con rappresentazioni verosimili dell’impatto grafico ottico-retinico per un titolo multipiattaforma.
La recensione
Più che a Resident Evil, l'opera horror qui analizzata rimanda alle atmosfere dei classici Silent Hill o Alone in the Dark, vuoi per il sistema di inquadrature fisse, vuoi per l'alternanza di fasi esplorative ed enigmatiche. Non tutto è perfetto, ma i brividi non ve li toglie nessuno.