La serie di Kingdom Hearts è sempre stata molto particolare, sin dalla sua genesi: un inaspettato connubio tra una casa di sviluppo giapponese e la più grande impresa americana di intrattenimento a livello mondiale si uniscono, per un progetto che ad oggi resta assolutamente unico. Personaggi di un universo narrativo si incontrano, combattono, stringono alleanze, piangono e ridono assieme agli eroi dell’altra realtà, uniti da protagonisti nuovi ed inediti, per un intreccio ricco, se non addirittura arzigogolato. Un progetto lungo decenni, capace di attraversare diverse generazioni di console, con moltissime produzioni sparpagliate nel corso degli anni e oggi riassunte per voi da Square-Enix anche per Switch. Un brand che è sempre stato simbolo di PlayStation, relegando solo alle console Nintendo portatili, da sempre di grande successo, progetti secondari, rivalutati soltanto a posteriori per l’importanza del loro contributo alla narrazione del macro arco narrativo dell’epopea di Kingdom Hearts. E quasi a voler ribadire e il legame con altri marchi hardware, e il ginepraio di fruizione dei suoi contenuti, ecco che il franchise arriva sì sulla console ibrida della grande N, ma in maniera quantomeno bizzarra. Come spiegato nella nostra prima parte di recensione, tramite il servizio Cloud i possessori di Switch potranno accedere sostanzialmente a tutto quello che sia mai stato concepito da Nomura sotto questo marchio, ma soltanto in modalità streaming. Scelta quantomeno bizzarra per la parte più antica della collezione, mentre possiamo accettare di buon grado (o quantomeno con perplessità minori) lo sbarco del terzo, sostanzialmente contemporaneo, capitolo della saga, qui analizzato.
Kingdom Hearts III arriva dopo dieci anni dall’ultimo episodio principale, cercando di tirare le fila di un canovaccio sparso lungo moltissimi sviluppi minori, tra DS, PSP e 3DS, proponendosi, per respiro e ambizione complessivi, come il vero e proprio capitolo (conclusivo?) del lungo percorso immaginato dalla contorta fantasia di Nomura. La sua volontà di distanziarsi e differenziarsi da quanto prodotto nel corso degli anni precedenti, quasi a voler dire a tutti gli appassionati di dover essere preso davvero sul serio, il gioco si apre con più di un prologo, concatenando tutta una serie di sequenze animate incastrate tra loro come matriosche, per una costruzione quasi e/scatologica di questo universo diegetico: più di uno sguardo rivolto al passato, a cosa è stato il cammino che ha portato milioni di fan davanti al compimento del loro destino videoludico, con lo scopo sia di riassumere (per quanto possibile) gli avvenimenti e i toni dell’avventura, sia per permettere a ciascun fruitore di settare il proprio modo di approcciarsi al nuovo progetto. La fase introduttiva, infatti, si conclude con una sorta di questionario, mascherato da elemento diegetico, tramite il quale verranno settati determinati criteri di approccio alla fruizione, dal livello di sfida agli aiuti della CPU, passando per il ritmo degli scontri, così che ciascuno, a seconda del proprio modo di vivere ed interpretare la saga di Kingdom Hearts fino a ora, dopo tutti questi anni, possa ritrovarsi tra le mani il capitolo tanto agognato e sognato lungo un decennio di attesa.
Una volta (finalmente) iniziato il gioco (che va ammesso, parte con un ritmo veramente lento e, per sua stessa natura, continuerà troppo spesso per i gusti di tanti fruitori e spezzare l’esperienza interattiva con cut-scene e intermezzi dialogati sparsi in maniera granulare lungo tutto il corso dell’opera) eccoci alle prese con il classico Kingdom Hearts, ma sotto steroidi. Sì perché i lunghi anni d’attesa e la scelta di lanciarsi a piedi pari nell’uso dell’Unreal Engine 4 su piattaforme moderne come PlayStation4 (all’epoca della sua uscita, il porto più sicuro e performante per questo terzo capitolo principale dell’epopea Square-Disney) hanno senza dubbio la capacità di ammaliare l’appassionato di lunga data. L’impatto grafico e visivo è di primissimo livello, grazie a una componente stilistica molto carismatica e coerente con la saga, esaltata dal salto nella generazione recente fatta di potenza computazionale e di calcolo, alta definizione e stabilità di frame rate. Personaggi, mondi, scenari ed effetti di luce e particellari risaltano davanti al giocatore con un carico di potenza espressiva a dir poco notevole, per una produzione che probabilmente a livello tecnico ha diversi concorrenti più capaci, ma che esprime un’evidente potenza stilistica. Quanto messo in scena del team di sviluppo potrà piacere o meno, potrà essere inferiore ad alcune produzioni realistiche e ottico-retiniche di programmatori occidentali, ma una cosa è certa: esprime ai massimi livelli la capacità immaginifica di alcuni dei migliori sviluppatori giapponesi presenti sul mercato contemporaneo mondiale, con la loro capacità di amalgamare tecnica e arte in maniera assolutamente di prim’ordine.