Genere inflazionato quello del “platform 2D in stile retro”. A volte dietro i pixel si nascondono dei giochi che, pur strizzando l’occhio al passato dal punto di vista estetico, riescono ad essere moderni e perfettamente al passo coi tempi. Per citarne uno, il caso più emblematico degli ultimi anni è senza ombra di dubbio Celeste, capace di mettere d’accordo i nostalgici e le nuove generazioni di videogiocatori. Ovviamente non si pretende che tutti i giochi raggiungano un tale livello di qualità, ma quando ci sono delle pietre di paragone ancora così fresche nella memoria, diventa complicato riuscire a portare qualcosa di nuovo e rinfrescante. O magari Sir Lovelot vuole puntare sul sicuro proponendo qualcosa di semplice e già assodato?
Senza nessun tutorial iniziale, ci ritroviamo a vestire i panni di quello che immaginiamo essere Sir Lovelot, il cui nome è un gioco di parole tra Lancillotto – celebre cavaliere di Re Artù – e love-a-lot, traducibile all’incirca come “gran amatore”. Il nostro scopo è infatti quello di raggiungere la donzella di turno alla fine di ogni livello la quale, per non deludere le aspettative di nessuno, si trova ovviamente all’interno di un’alta torre la cui sommità può essere raggiunta arrampicandosi sulla sua lunga treccia di capelli. Come avrete capito, il gioco non si vuole prendere troppo sul serio e utilizza questo mezzuccio narrativo (che qualcuno potrebbe pure trovare leggermente offensivo) come pretesto per sessioni di puro platform.
Ci troviamo davanti ad uno schema di comandi molto familiare: doppio salto, salto a parete, possibilità di sparare (non si capisce bene cosa, in pieno Medioevo) per abbattere i nemici. Tutto qui. E se vi aspettate che si affianchino altre meccaniche durante la quarantina di livelli suddivisi in quattro ambientazioni, temo che rimarrete delusi. A dirla tutta, vengono introdotte alcune nuove creature pronte a bloccarci la strada con la violenza, ma non aggiungono una varietà rilevante in mezzo alla predominanza di spuntoni e seghe rotanti un po’ messe ovunque. Insomma, nulla che non si veda ormai da decenni (per la lava e palle di fuoco, vedi Super Mario Bros., anno 1985). L’unica aggiunta rilevante sono numerose sezioni acquatiche – di nuovo, non chiedetemi come faccia un cavaliere in armatura a nuotare senza problemi – durante le quali i movimenti sono però tremendamente lenti.
Tuttavia, anche all’asciutto non è sempre facile controllare il nostro personaggio a causa della sua estrema agilità: se di per sé potrebbe sembrare persino un pregio, diventa controproducente nei momenti in cui è richiesta una certa dose di precisione, magari mentre cerchiamo di atterrare incolumi in spazi ristretti. Per fortuna, il sistema di checkpoint è abbastanza generoso: oltre a conservare i progressi fatti (inclusi i nemici già sconfitti), il livello riprenderà dall’ultimo passaggio di schermata. Anche i caricamenti sono piuttosto veloci, quindi non c’è da attendere troppo nel caso di morti accidentali dovute a comandi fin troppo sensibili.
Nulla da obiettare invece sul versante estetico: per quanto ormai sembri ci sia una legge non scritta che dice che se fai platform devi avere uno stile pixellato, la grafica retro è piuttosto gradevole e curata nelle animazioni. Da apprezzare anche il fatto che, a differenza di molti giochi indie più recenti, il level design non sia affidato alla casualità di meccaniche procedurali, bensì sia costruito ad hoc dagli sviluppatori. Non che ci sia nulla di particolarmente originale in leve che attivano piattaforme semoventi e che rimuovono sbarramenti, ma almeno si sono sforzati di proporre contenuti curati.
La longevità è piuttosto ridotta (intorno alle 2-3 ore), anche se i completisti possono contare su obiettivi extra da soddisfare: oltre a raccogliere un fiore da portare in dono alla nostra donzella, in ogni livello è possibile raccogliere tutte le monete, arrivare alla fine al di sotto di un tot di morti e scovare alcuni pennuti dalle uova dorate nascosti un po’ ovunque. In ciascun livello sono infatti presenti una certa dose di scorciatoie e passaggi segreti che vengono rivelati solo al nostro passaggio. Il problema principale è che, a differenza di altri giochi che sfruttano stratagemmi simili, non c’è alcun segnale ad indicare la presenza di possibili vie alternative: dopo un po’, uno ci fa l’occhio e inizia a intuire qualcosa, ma per la maggior parte la mancanza di indizi si traduce nel dover controllare praticamente ogni parete perché “si sa mai”. Magari qualcuno può vederlo come una sfida aggiuntiva, ma c’è il timore che sia invece più pigrizia di progettazione.
Se quindi i circa 40 livelli scorrono piuttosto velocemente, almeno ci sarebbe la caccia al punteggio più alto a poterci tenere impegnati ancora un po’. Peccato che non sia presente alcuna classifica (locale o online), privandoci anche di quello che potrebbe essere l’unico incentivo a tornare sui nostri passi. Non che sia necessario avere questo tipo di opzione, ma un gioco dall’impronta fortemente arcade come questo e che non può contare sullo sviluppo di una storia, perde un po’ di significato senza la possibilità di scalare posizioni o vantarsi dei propri risultati.
La recensione
All’innovazione, Sir Lovelot preferisce giocare in difesa con un approccio estremamente classico al genere del platform 2D retro. Non che il gioco sia brutto o pieno di bug, ma se paragonato a capisaldi come Celeste, appaiono tutti i limiti di un gameplay troppo semplicistico. Grazie ad un livello di difficoltà abbastanza accessibile, potrebbe andar bene a chi voglia approcciarsi al genere per la prima volta, ma è difficile che Sir Lovelot faccia innamorare i giocatori più navigati.